MILANOBARONA
MMXVI-MMXXIV
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L’esistenza di questa ditta, produttrice iniziale di materiale plastico per l’industria farmaceutica e cancelleria e successivamente di giocattoli, aeromodellismo e assemblaggio ludico-didattico, sita in una palazzina industriale lungo la Via Ettore Ponti alla Barona di Milano (al civico 12), sorta intorno al 1952, poco nota nel panorama industriale milanese, balenava nei miei ricordi infantili per l’amicizia che mia mamma aveva, nei primi anni ’70, con alcuni residenti nel quartiere, prestatori di manodopera presso tale ditta (confezionamento delle scatole contenenti giocattoli o modellini da assemblare) i quali vivevano in un cascinale/magazzino sito nel lato opposto della Via, praticamente quasi diametralmente opposto al capannone della CO-MA.
Oggi, una delle figlie di questa famiglia gestisce un noto negozio di sviluppo fotografico. Inizialmente il negozio-laboratorio era sito proprio nel cascinale/magazzino (Via Ettore Ponti), salvo poi trasferirsi, negli anni 2000, a poche decine di metri di distanza, al civico 21, all’interno di un’area commerciale parte di un plesso condominiale (uno dei tanti) sorti negli ultimi 15 anni in tale settore del quartiere.
Fortuna vuole che un web del modellismo ex Rivarossi, abbia dedicato una preziosa sottopagina web a questa ditta che ebbe, a cavallo degli anni ’50-’80 del 1900, un piccolo contributo industriale, sia dal punto di vista della creazione di alcuni posti di lavoro nel quartiere, sia nella produzione di linee commerciali di giocattoli e prodotti per modellismo e aeromodellismo.
http://www.rivarossi-memory.it/Altre_Marche/Edilmec-Coma/Edilmec-Coma.htm
Ignoravo la data di fondazione di questa ditta (sembra dei primi anni ’50).
Il capannone/edificio sorse, ovviamente, in una “terra di nessuno”, dato che sino alla fine degli anni ’60, il tratto compreso (della Via Ettore Ponti) tra il ponticello che sovrastava lo scolmatore Olona (Lambro Meridionale-Lambretto) nel bivio Via Schievano-Via Franco Tosi-Via Zumbini e l’incrocio con la Via Binda era un “nastro” di prato solcato da sentieri sterrati, delimitato, nel lato sud, verso l’Olona, dalla presenza dell’ex Deposito Carburanti Victoria e dal lato opposto da capannoni che si affacciavano anche sulla adiacente Via Franco Tosi.
La Via, negli anni ’50 e ’60 (nel tratto compreso tra Via A. Binda e il bivio Schievano/Zumbini), era un nastro di prati, pozzanghere e sentieri sterrati per effetto del transito di autocarri e veicoli che dalle Vie Schievano o Ambrogio Binda dovevano raggiungere (su tracciato privo di sede stradale) alcuni siti industriali e di magazzino che erano sorti nel lato Nord della Via (tra i quali la CO-MA).
La Via Ettore Ponti, che nelle mappe cittadine dei primi anni ’50 appariva tracciata per intero, (come se fosse completata e percorribile per l’intera sua estensione) nella realtà era transitabile solo tra le intersezioni di Via S. Rita da Cascia e Via A. Binda, e venne completata (con grande ritardo), lungo sua intera estensione (tra Via A.Binda e Piazza Bilbao), solamente dopo la metà degli anni ’60, collegandola quindi, alla nuova Piazza Bilbao, verso Viale Cassala e nella direzione contraria, verso il preesistente tratto della Via E. Ponti, sino all’intersezione con la Via S. Rita da Cascia.
Tale edificio al civico 12, dopo la cessione del marchio CO-MA nel 1989 (il marchio venne inizialmente assorbito dalla Cavallino Giocattoli srl di Cenate di Sotto (BG)), sopravvisse indenne sino agli anni ‘2000 quando le lottizzazioni edilizie e l’acquisto dell’area fabbricabile (attualmente vi sorgono due condomini sino al confine con un concessionario di auto di lusso) causò la sua definitiva demolizione.
Oggi, il lotto un tempo occupato dalla CO-MA vede la presenza di due plessi condominiali sino a sovrapporsi al confine catastale di un concessionario d’auto sportive.
Il marchio CO-MA, strano ma vero, dopo essere stato rilevato nel 1989, sopravvisse con il doppio logo della società che lo acquisì sino al 2012, data dalla quale, il logo CO-MA scompariva definitivamente nella produzione, sostituito dal marchio della società contraente.
Cosa produceva la CO-MA ?
Inizialmente materie plastiche (considerata l’epoca, plastiche da resina sintetica piuttosto che da derivati del petrolio, cosa possibile solo verso la fine degli anni ’50) per uso farmaceutico e articoli di cancelleria.
Dagli anni ’60 la produzione in plastica si incremento e specializzo’ la propria produzione in diverse linee commerciali di giocattoli.
Meritevole di citazione sono le linee giocattolini degli astronauti spaziali “I Seleniti”, tra i primi giocattoli ad essere realizzati con materiale plastico trasparente e fluorescente. Questa linea di “astronauti spaziali” divenne anche un gadget, una “sorpresina”, inclusa all’interno del detersivo in polvere Tide per diversi anni, come probabilmente anche altri prodotti ludici realizzati dalla CO-MA.
CO-MA produsse anche linee di giocattoli su concessione Walt Disney.
La presenza (all’interno delle confezioni di montaggio) di istruzioni in lingua francese rivela che i prodotti venivano anche esportati all’estero.
(immagine tratta da http://www.rivarossi-memory.it/Altre_Marche/Edilmec-Coma/Edilmec-Coma.htm)
Un Carosello (della metà anni ’60) del detersivo in polvere Tide. Per lunghi periodi incentivava la vendita includendo dei gadget giocattolo CO-MA all’interno delle sue scatole:
CO-MA sviuppò alcune linee di marchi depositati, specializzati nelle produzioni ludiche e modellistiche dedicate: (i contenuti che seguono sono estrapolati dal sito http://www.rivarossi-memory.it/Altre_Marche/Edilmec-Coma/Edilmec-Coma.htm )
“” – EDILMEC (Modelli in scatola HO da montare (inizialmente contenute in buste di plastica trasparente quindi in scatole di cartone) con tubetto di colla per materie plastiche Policement e catalogo all’interno della confezione commercializzati tra gli anni ‘60 e ’80).“completate ed arricchite i vostri plastici e costruite interi villaggi con i modelli Edilmec. Fate collezione dei modelli già in commercio e di quelli che seguiranno. Richiedeteli ai grandi magazzini Upim e Standa e presso i migliori negozi” (pubblicità su Topolino 30 Giugno 1963)
– AERMEC per gli aerei in scatola di montaggio in scale differenti
– MOBILMEC per l’arredamento in miniatura
inoltre
marziani “Seleniti”, con casco trasparente, in plastica dura non colorata, altezza 30 o 75 mm, serie “pattuglia selenita” trasparenti o fosforescenti (compresi anche all’interno delle confezioni detersivo Tide), astronauti o uomini spaziali altezza 70 mm, missile in plastica con fionda (Navigazione Spaziale – astronauta nella gabina che può servire anche per inserire e scambiare messaggi a distanza), confezioni di veicoli per l’esplorazione dello spazio, soldatini in plastica morbida non colorati (scala 1:32) , altezza 55 mm, tra cui Alpini, Fanteria di marina e Bersaglieri, Moschettieri, Marines, Legionari romani, Barbari, Sudisti, Mediovali, Avieri, venduti in buste da 6soldatini in plastica non colorata che si trovavano dappertutto, cartolerie comprese, al prezzo di 100 Lire minitrenini in plastica, costruzioni in plastica Press-Fix tipo Meccanonavi da crociera e militari in plastica da spiaggia 45-50 cm,auto modelli d’epoca in plastica in 1:10 e serie Automobili Veterane in plastica 1:16giocattoli in plastica, pistole ad acqua, dischi volanti composti da tre pezzi che si staccano in volo dopo il lancio,mucca Olandesina in plastica con secchio che fa uscire il latte. “”
Il detersivo Tide (all’epoca uno dei principali produttori di detersivi in polvere per uso domestico) contribui’ a diffondere alcune linee di giocattolini “sorpresa” che i bambini potevano poi completare acquistando, nelle cartolerie e nei negozi di giocattoli, la restante parte della collezione.
Non si puo’ escludere che la CO-MA, considerata la vicinanza con la Ditta Mapelli (Via Andrea Ponti), fruisse, nella propria rete commerciale di vendita, anche del magazzino di vendita al dettaglio di giocattoli esistente all’interno dell’edificio della Mapelli, in Via Andrea Ponti, sino agli anni ’80 del 1900.
Tutti i dettagli della produzione CO-MA sono consultabili in questo sito
http://www.rivarossi-memory.it/Altre_Marche/Edilmec-Coma/Edilmec-Coma.htm
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STORIA DELLA BARONA
(e dintorni)
(ricordando la storia di un quartiere, a volte si ripercorrono i fatti storici della città e della nazione di cui fa parte…)
Sintesi storica (1200 circa-1900-primo decennio anni ‘2000) del territorio oggi identificato nel Quartiere Barona ex Consiglio di Zona 16 (via S.Paolino 18), attualmente inglobato nel Municipio 6 (V.le Legioni Romane) che ingloba le ex Zone 5,16 e 17 .
L’attuale territorio della Barona, era un tempo, (Ducato Visconteo di Milano e Mantova, Dominazione Spagnola, amministrazione dell’impero Austriaco- Regno Lombardo Veneto), uno dei numerosi borghi agricoli e rurali che popolavano “I Corpi Santi” della Porta Ticinese e di buona parte del circondario oltre le Mura Romane di Milano.
biografia sottostante tratta da:
http://www.abconlus.eu/basilica/Barona/index.htm
Il territorio attualmente appartenente alla Barona (i cui confini politici amministrativi della Città di Milano vennero definiti, nella dicitura di Zona 16, tra gli anni ’70 del 1900 ed i primi anni 2000, sulla falsariga dei confini definiti nel 1567 dal Cardinale Carlo Borromeo) vide, sin dalla bassa Età del Bronzo, il transito e lo stanziarsi di popolazioni itineranti a tale periodo. Di questo se ne avrebbe la conferma certa grazie ad alcuni reperti risalenti a quel periodo e casualmente rinvenuti intorno al 1887 nei pressi della Cascina Ranza (prossimità tra la fermata M2 Romolo, a ridosso del Viale Cassala e cintura ferroviaria, verso la Via Schievano in corrispondenza del civico 16 di Via Filargo). Tale sito venne chiamato: “Ripostiglio della cascina Ranza”
Oggetti e manufatti vennero classificati e qualificati come parti e accessori di un corredo funerario di un importante capo celtico. Le fonti e le interpretazioni non sono univoche. Altre fonti di studio sostengono che tali manufatti fossero parte di un deposito gestito da un mercante metallurgico (sempre di tale periodo) che scelse come deposito dei suoi manufatti metallurgici un sito posto nelle vicinanze dell’area, dove sarebbe sorta la Cascina Ranza, vicinanze Via Filippo da Liscate in Via Filargo 16.
Cronologicamente si ritiene che questi siano i primi insediamenti umani nell’attuale territorio del quartiere Barona, sito che “vanterebbe” i primi insediamenti nel futuro territorio della Città di Milano. Tali insediamenti furono i precursori della successiva Mittland organizzata in un borgo di abitazioni eretto su palafitte (Mittland 338 a.C).
Due borghi di capanne restituivano uno scenario stanziale in coincidenza dell’arrivo dei romani, condotti dal console Marcello (225 a.C.). L’attuale Barona era solcata dalla “strada mercatorum” (detta via della Barona) che confluiva nella cittadella dei Celti (Milano). Sembra che al termine dell’occupazione romana alcune milizie scelsero di accamparsi permanentemente in tale territorio, coltivandone le terre. Tale sito divenne divenne un borgo agricolo, attualmente identificato anche nella Cascina Castello di Buccinasco.
Gli ex soldati dell’Impero Romano, le cui generazioni successive erano ormai coltivatori e contadini, contribuirono alla denominazione di piccoli centri e quartieri dall’attuale fascia periferica del sud-ovest milanese: Romano con Quarto, Quinto, Settimo Romano, Buccinasco (che deriva da “bucine” o trombe di guerra) Assago (la via maestra o l’asse della Città).
La popolazione agricola si distinse per tecniche e metodi di canalizzazione delle acque e irrigazione del terreni (tecniche ereditate dal tardo Impero Romano nelle vesti dei suoi militari).
Le successive invasioni Barbariche determinarono l’incuria, l’abbandono se non la distruzione di queste primitive opere di canalizzazione delle acque.
Solo verso il XII* secolo i monaci Benedettini ripristinarono una tradizione agricola e contadina del sito.
Attività agricola, risaie e culto religioso domino’ lo scenario storico del territorio della Barona per merito dei monaci Benedettini.
Nel periodo sorsero numerose chiese (con annessi cascinali) nella tradizione Benedettina di alternare il duro lavoro agricolo e di realizzazione e manutenzione di opere irrigue ed annessi mulini e rogge, con la fede e l’orazione cristiana.
Tra le varie:
Robbiolo (Buccinasco),
Terradeo (Buccinasco),
S. Maria in S.Marco (Albairate),
San Marco al Bosco (detta di San Marchetto alla Barona):
La data di costruzione di questa Chiesa devozionale non è nota. Era già censita intorno al 1280 nel catalogo delle chiese esistenti in diocesi “Liber notitiae sanctorum mediolani”, compilato, come si crede, dal cronista Goffredo da Bussero in quegli anni. La sua fondazione risalirebbe agli Eremitiani di S. Agostino del Convento di San Marco in Milano, già proprietari di fondi agricoli.
La sua origine è legata alla leggenda del ritrovamento, sotto il terreno dove essa sorge, di un Crocefisso rinvenuto durante l’aratura con mezzi animali del terreno coltivato.
(da Barona.com.s-marchetto).
Mulino della Pace via Bardolino :
Origine risalente al XVI*secolo (1500) in seno alla realizzazione di opere di canalizzazione. Si trattava dei piu’ importanti mulini destinati alla produzione di farina per la città di Milano. Noto per la presenza di imponenti macine di granito (http://www.verdinavigli.org).
Mulino Doppio:
La sua origine, risalente al 1500 e posto nelle vicinanze del Mulino della Pace, lo configurava come costituito da due mulini paralleli ed era già censito negli atti della visita Pastorale di San Carlo verso la fine del ‘500. Agli inizi del XX° secolo era adibito a filanda e intorno alla I° Guerra Mondiale adibito anche come Ospedale Militare.(http://iluoghidelcuore.it/luoghi/milano/cascina-mulino-doppio/81393)
Cascina Battivacco:
La cascina Battivacco era originariamente di proprietà delle monache di Santa Maria in Valle di Milano. La presenza è certificata nella mappa del Catasto Teresiano intorno al 1722, già parte dei Corpi Santi di Porta Ticinese.
Concepita con due principali fabbricati lineari posti in pianta ortogonale all’interno di una estesa corte cascinale aperta, la cascina ospitava anche un oratorio.
Successivamente alla prima meta’ dell’Ottocento hanno luogo alcuni ampliamenti di dimora per il personale impegnato nelle attività rurali e di servizio. La corte viene chiusa sul lato nord-est da un rustico. Ulterori ampliamenti si susseguono sino alla fine del secolo XIX°, in particolare nel fabbricato delle stalle di nord-ovest, che vede l’aggiunta di ilteriori nuovi rustici all’esterno della corte, e in quello di servizio di nord-est, che presenta la costruzione di nuovi ambienti affacciati sulla corte. Durante il Novecento il complesso viene ulteriormente arricchito dalla costruzione di edifici rurali e di servizio. La corte viene ulteriormente ingrandita mediante demolizioni di alcuni fabbricati. Attualmente risultano ancora presenti gli impianti degli antichi edifici settecenteschi posti a nord-ovest e a sud-ovest, nonché il corpo di fabbrica a nord-est, ampliato entro il 1866. Dal 1965 è gestita dalla famiglia Fedeli. (http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/MI050-00112/).
Cascina Barona (di origine celtica), San Nazaro e Celso.
Capsinam Ranticam (Cascina Ranza , Via Filargo 16):
Come accennato, alla fine del XIX° secolo, verso il 1888, a cura del Paletnologo parigino (naturalizzato italiano) Pompeo Castelfranco, presso la Cascina Ranza a Romolo dove successivamente, durante il 1900, venne realizzata la Via Filargo (civico 16), furono ritrovati e recuperati manufatti, reperti archeologici, consistenti in armi risalenti ad oltre 3600 anni fa, all’età del bronzo. Sono conservati presso le sale museali delle Civiche Raccolte del Castello Sforzesco di Milano ma nulla rimase del sito archeologico di Via Filargo dove tali reperti vennero rinvenuti ad un metro e mezzo di profondita’ dalla superficie del suolo. I lavori di realizzazione del villaggio Universitario dello IULM, partiti intorno al 1999, oltre al ritrovamento di un ordigno (bomba aerea) della seconda guerra mondiale (che impose, in una domenica della meta’ di Settembre, lo sgombero forzato del 50% del territorio urbanizzato della ex zona 16, da Via Schievano sino al lato est di tutta la Via Santa Rita da Cascia, l’intero Viale Famagosta e parte della ex zona 5 nei Viali Cassala, Liguria e Romolo, Carlo Torre, etc…), videro l’abbattimento dell’unico (parziale e ridotto ad un rudere) muro perimetriale sopravvissuto di tale cascina, rudere abbattuto nell’anno 2000.
Come da “tradizione milanese”, la storia della citta’ di Milano (e di chi la popolo’ e vi lavoro’ durante il 1900 sino agli anni 2000) non ha valore non potendosene trarre redditi, profitti e speculazione. Pro tempore, circa 17 anni fa, alcune associazioni di tutela storica e ambientale del territorio meneghino cercarono di sensibilizzare l’allora rettore IULM Francesco Alberoni (dimissionario dal 2001 per vicende di corruzioni e malgestione interna all’ateneo) ottenendo in cambio uno scaricabarile. IULM vide e vede, da sempre, una notevole partecipazione di “attori” privati nella sua espansione, conduzione e consolidamento nella nuova sede di Romolo. Tra questi anche Mediaset e le varie fondazioni della medesima di cui la “Silvio Berlusconi Communication” (da decenni molti stagisti laureati allo IULM vengono inseriti in tali aziende9. Sicuramente le responsabilita’ furono generali, anche politiche, di Forza Italia, dell’allora “Sindaco in mutande” Gabriele Albertini (uno degli “uomini di Berlusconi” incaricato di sventrare parte di Milano per erigere monumenti edilizi che ricordassero ai milanesi ed ai turisti stranieri, per almeno un secolo a venire e sicuramente molto oltre, che l’oligarchia dittatoriale berlusconista del 1900 e degli anni ‘2000 anche a Milano lascio’ opere indelebili come fece Mussolini a Roma con Via dei Fori Imperiali…). Malgrado lo IULM vide l’avvio lavori intorno al 1988, all’interno di un sito periferierico “dimenticato da Dio”, (epoca in cui a Milano governava il parente di Bettino Craxi, Sindaco Pillitteri), l’ Albertini fu, comunque, il co autore, insieme alla Moratti, di una ricementificazione spaventosa della città di Milano, avvenuta tra il 2004 sino ad oggi (cementificazione senza acquirenti, cubature e centinaia di piani di vari grattacieli rimasti invenduti da molti anni e il processo non si è ancora arrestato ed i progetti “MasterPlan”, definiti sin dai primi anni ’90, da Forza Italia, vedranno ulteriore concretizzazione e ultimazione anche per i prossimi due decenni, non prima della fine degli anni ’30 del primo secolo del millennio 2000).
La vicenda della Cascina Ranza non costituirebbe, ovviamente, il primo ed unico caso di cementificazione priva di etica noncurante della preesistenza di ex siti archeologici ubicati nella Citta’ di Milano, una metropoli la cui amministrazione politica “capitana”, (vedesi Forza Italia e la trasformazione del Partito Democratico in una succursale delle destra neofascista, filo mafiosa e palazzinara berlusconista) preferisce tramandare e documentare il proprio passato e la propria storia proponendola in forma puramente virtuale e in carta patinata, e persino, in una certa misura, anche nelle vendite di libri on-line tramite social network americani piuttosto che applicare un minimo di preservazione del proprio passato.
Forse si poteva comunque costruire il villaggio universitario, tutelando la piccola area dove sorgeva un muro residuale di tale cascina… La “rasatura” al suolo delle cascine, nella periferia sud-ovest di Milano parti’ sin dai primi anni ’60 coinvolgendo anche le ex zone 17 e ovviamente anche la Barona e il confinante ticinese.
Quindi nulla di nuovo, anche se negli ultimi decenni il fenomeno ritrovo’ una nuova “auge”.
Del resto Silvio Berlusconi ebbe ed ha tutt’oggi una visione plastificata della citta’ di Milano e le spese maggiori di questi scempi non si limitarono a Porta Nuova e Garibaldi. La Darsena ne fece le spese maggiori (malgrado il progetto portasse la firma dell’amico di Silvio, Pisapia, succursale politica PD di Forza Italia…)
Fu’ proprio il Ticinese, sin dal 1994, a trarne i danni peggiori, trasformato insieme ai navigli nel divertimentificio notturno della Nazione Italiana e del Sud Europa… Oggi acquistare un bilocale in casa di ringhiera a ridosso dell’alzaia Naviglio Grande, richiede alcuni milioni di euro…
Ritornando alla “protostoria” della Barona… in realtà i territori gestiti dai monaci Benedettini andavano oltre i confini del Borgo Barona, verso l’attuale ticinese nelle attuali Vie Argelati-Magolfa sino al Vicolo Lavandai-S.Lorenzo Maggiore-Santa Maria alla Porta-Santa Maria alla Scala… (i confini della Barona furono sanciti nel 1567 dal Cardinale di Milano San Carlo Borromeo, confini rimasti inalterati sino all’accorpamento del Borgo Barona alla città di Milano, avvenuto dopo il 1850, verso il 1873. I confini, poi ripresi nello statuto dei Consigli di Zona, intorno ai primi anni ’70 del 1900, nella cosiddetta “Zona 16”). I confini sancini nel 1567 comprendevano a Nord il Naviglio Grande, a Sud il fossato “Cavone” detto Carlo Borromeo, a Nord-Est la Roggia Boniforte (che conduceva verso l’attuale Via Argelati) ad Est il Naviglio Pavese.
La Barona era parte, nei suoi territori e nelle sue comunità agricolo-contadine, di un crocevia di vie di comunicazione con il corso della Porta Romana verso le uscite a Nord di Milano.
Il Borgo Barona era parte di un suburbio della Milano romana che comprendeva Cesano Boscone, Assago e Buccinasco.
Come evidente il Borgo Barona fu anche territorio delle opere Leonardesche (commissionate da Ludovico il Moro) di canalizzazione dei Navigli e della realizzazione delle “chiuse” atte alla irrigazione agricola dei terreni che si trovavano lungo il lato Sud del Naviglio Grande.
(Fonti storiografiche sottostanti estratte dal sito http://www.abconlus.eu/basilica/Barona/1500.htm)
Sino al tardo Medioevo sono poche o nulle le notizie, gli “annali”, relativi al Borgo della Barona, del quale si ipotizza, come avvenne sin dall’epoca tardo romana, un’attivita’ prevalentemente agricola ed ovviamente, anche di pastorizia.
L’antica Chiesa del Borgo Barona (l’attuale San Nazaro e Celso) venne elevata a Parrocchia su accoglimento del Cardinale Carlo Borromeo verso i primi giorni di Agosto del 1567.
Il Borgo, organizzato e governato da “capi famiglia”, beneficio’ da quell’atto di fondazione della facolta’ di preferenza del proprio Parroco in una rosa di candidati indicati dalla Curia di Milano.
Sotto elencato l’inventario anagrafico delle case, delle cascine e dei mulini gravanti della giurisdizione della parrocchia con l’indicazione del nome e della ubicazione attuale.
Primo dictum locum Baronae | Barona vecchia: incrocio delle vie Zumbini, Binda,Biella. |
Domus follarum Bonatoni | |
Capsinam Ranticam | scomparsa, cascina Ranza, via Filargo 16. |
Beldellum | esistente, cascina Beldiletto, via omonima 46 |
Divum Ambrosium Puriselli | scomparsa. |
Capsinam Caymorum cum Molendino Arso | esistente, cascina Caimera, via Boffalora 18. |
Carlionum | esistente, cascina Carliona, via Boffalora 75. |
Capsinettam nuncupatam la Cantalova | esistente, cascina Cantalupa, via Boffalora 71. |
Molendinum et fullas nuncupatas del Bosco sive de Viazolo | scomparsa |
Capsinas de Cruce dictas Sancti Marci | esistente, cascina San Marchetto, via omonima 3. |
Capsinam et molendinum Sancti Marci quae sunt D. Rottae | esistente, cascina San Marco, via San Marchetto 90. |
Capsinam Placentiae | |
Molendinum Duplum | esistente, mulino Doppio, via Bardolino 30. |
Capsinam et molendinum Monialium Sanctae Mariae Vallis | esistente, cascina Battivacco, via Barona 111 e Colomberotto, via Bardolino 3. |
Capsinam Bianchini | |
Capsinas Caneri | |
Capsinam Arsani | |
Capsinam Albam | esistente, cascina Bianca, via de Pretis 89. |
Capsinas Boffalorae | esistente, cascina Boffalora di sopra e Boffalora di sotto, via omonima 111 e 112. |
Capsinas Monialium Sancti Dominici | |
Aliud Molendinum Crottae nuncupatum La Folletta | scomparsa, demolita alcuni anni fà. |
Capsinam Granzettae | |
Molendinum a Chignolo | esistente, mulino Chignolo, via Olgiati 50. |
Capsinas nuncupatas la Varesina | esistente, cascina Varesina e Varesinetta,via San Benedetto 36 e 38. |
Capsinam Restoci | esistente, cascina Restocco, via Parenzo. |
Molendinum Folettae ad Castrum Vincemalae | esistente, Castel Vismara, via Tre Castelli. |
Castrum D. Vincemalis, et de Porris | esistente, Castel Vismara, via Tre Castelli. |
Domum Albam | esistente, cascina Cà Bianca, via Ludovico il Moro 117. |
Dessam | esistente, mulino la Desa, via San G. Cottolengo 1. |
Ripam Sancti Cristophori videlicet Rottulam et locum Varesii, locum Portinariorum, Hospitium, locum de Porris, locum Legnani, locum Magni, sive Gabbalii, locum Rosati | esistente, varie case nelle vie San Cristoforo,Pestalozzi, Ludovico il Moro. |
Capsinam de Corna | esistente, cascina Corna, via Binda 16 interno. |
Molendina et capsinas Monasterii Maioris | esistente, cascina Maggiore, piazza Bilbao 2. |
Capsinam Rottae in loco Baronae | |
Domus Ludovici et fratrum, et aliorum de Guerris | |
Domus haeredum Magantiae | |
Capsinam Monialium Sancti Dominici | |
Capsinam Magnifici Domini Alexandri Rottulae | |
Domus Palatiorum | esistente, casa Palazzo, via Pestalozzi 10. |
Aliam domum dicti Magnifici Domini Rottulae, quae est apud ecclesiam | |
Molendinum Cattaneorum dictum ad Caymam | esistente, probabilmente mulino della Polvere,via Boffalora 40. |
Molendinum Fontegii | mulino Fonteggio, demolito anni fà per l’ampliamentodelle Cartiere Binda. |
Molendinum Sancti Ambrosii | mulino S. Ambrogio, demolito anni fà per lacostruzione del quartiere omonimo già via Moncucco 55. |
Capsinam dictam Montis Cuchi | esistente, cascina Moncucco, via Moncucco 29 e 31. |
Molendinum, et Traversera, dictum ad Ciresiam | esistente, cascina Ciresa, via Moncucco 20. |
Molendinum de Tachettis. |
Nell’elenco è indicata, erroneamente, come esistente la Cascina Beldiletto, demolita negli anni ’70 durante la fase di espansione edilizia di Viale Famagosta e secondarie. Rimane solo, nella Via omonima, il nome di tale cascina.
Verso la seconda meta’ del XVI* secolo la popolazione del Borgo si attestava intorno ai 700 residenti (circa 694) ripartiti in 127 famiglie stanziate in circa 52 manufatti agricolo abitativi (case, cascine, cascinali e mulini) secondo una media statistica di circa 5 persone per famiglia e 3 famiglie per dimora.
“Queste notizie ci sono fornite da uno Status Animarum, una specie di censimento di tutti gli abitanti della parrocchia compilato dal parroco Lodovico Bosisio nel 1589.”
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Sino al 1861 questo territorio (Borgo Barona), come il restante Nord-Nord-Est della Valle Padana, non apparteneva al futuro Regno d’Italia (1861) ma era parte dell’autonomo Regno del Lombardo Veneto.
Il borgo della Cascina Barona venne annesso a Milano intorno al 1873 (vedesi anche l’articolo “La parrocchia della Barona”). Dalla Cascina Barona il borgo prese il suo nome e successivamente il quartiere, anche se vennero pubblicate, negli ultimi decenni del 1900, fonti cartacee che sostenevano esserci (forse) altre origini nel nome che identificava questa frazione dei Corpi Santi, l’esilio di una principessa inglese, la “Carolina di Brunswich-Wolfenbuttel” (il consorte era il Principe di Galles), che autoesiliandosi in terra italica consumo’ nei cascinali antistanti alla Chiesa di San Nazario e Celso verso la Cascina del Moncucco, condotte considerate, dalla stirpe inglese da cui essa proveniva, come scandalose e promiscue se non proprio impudiche, organizzando feste e intrattenimenti con l’allora popolo del Moncucco ed eleggendo, tra tale popolazione un proprio valletto. Tale principessa venne sottoposta a processo presso la Corte di Londra (Camera del Lord) nel 1820, su richiesta dello stesso Principe di Galles. Alcune letterature e autori sostengono che tale principessa di nobili origini, venisse identificata (o si fosse qualificata come tale) come una baronessa, possedendo una propria residenza presso una villa campestre localizzata tra la Cascina Lavandai e la Cascina Moncucco. Dalla localita’ Moncucco, eletta come dimora di soggiorno di questa principessa, successivamente autoesiliatasi alla Barona, secondo alcuni autori, il nome dell’attuale quartiere forse deriverebbe proprio dal soggiorno non proprio sobrio e frugale di questa nobile inglese. Sono frammenti di storia della Milano ante Regno d’Italia che si perdono nella notte dei tempi…). Una biografia da “Cortigiana d’importazione” che Carolina di Brunswich-Wolfenbuttel si guadagno’ negli annali storici del Comune e Citta’ di Milano. Negli anni ’80 del ‘900 presso la Civica Biblioteca Zona 16 Barona, Via San Paolino 18 era reperibile un volumetto dedicato alla storia del quartiere Barona, opera che conteneva anche questi dettaglio storiografici di trascorsi “nobili” di cortigiane Inglesi in soggiorno presso i settori meridionali dei “Corpi Santi” pospicienti i confini del Comune di Milano.
(fonti : Letture anni ’80 presso la Biblioteca S Paolino, via S. Paolino 18, pubblicazione di un libro dedicato alla storia del quartiere Barona, edito a fine anni ’70 del 900, autore ed editore non noti ; https://it-it.facebook.com/associazionecolore/posts/753656238082371 )
La denominazione Corpi Santi aveva origine dalla necessità di sepolture dei defunti, oltre le “Mura” di Milano, allo scopo di prevenire epidemie e contaminare le falde dei pozzi acquiferi (principalmente la peste che tante vittime fece nei secolo passati ed i rischi contaminazione della falda acquifera provocati dalla decomposizione delle salme).
Il Borgo della Barona, sino al 1872/73, era un comune autonomo, prevalentemente agricolo, dedito anche alla coltivazione del riso (malgrado intorno al 1500 vennero decretati dei divieti dell’attività risicola, il 24 Settembre 1575 un ordinanza del marchese de Ayamonte, governatore di Milano, imponeva che il riso venisse piantato a sei miglia da Milano e a cinque miglia dai confini delle altre città. Di queste ordinanze, di natura sanitaria, causa la diffusione della malaria, ne vengono emesse moltissime, segno evidente che furono generalmente disattese). Riso a agricoltura, facevano del Borgo Barona, un sito strategico per la limitrofa Milano nella produzione di beni agricoli per l’allora cittadina di Milano, la cui facile deperibilità imponeva la presenza di Comuni e territori agricoli, confinanti con, approvvigionassero la medesima di prodotti alimentari di facile e veloce trasporto.
In realtà i confini dei Corpi Santi andavano molto ben oltre le competenze storico amministrative dell’attuale Barona. I Corpi Santi circondavano quasi l’intero perimetro di Milano. Solo dagli anni ’70 del 900, con l’istituzione dei Consigli di Zona, il quartiere Barona assunse anche amministrativamente una sua identità (non solo puramente toponomastica, legata anche al nome della Cascina Barona). Questo avvenne anche per altri quartieri, con la ripartizione del Comune di Milano in distretti 20 amministrativi, all’epoca chiamati “Consigli di Zona” (oggi, copiando dalla ripartizione del Comune di Roma, sarebbero ripartiti in 8 Municipi a fronte degli ex 20 distretti consiliari istituiti tra il 1970 ed i primi anni 2000).
In origine i “Corpi Santi” erano quindi i Sestieri.
Borghi e innumerevoli cascinali ripartiti in una cintura periferica di prevalente attività agricola e di allevamento del bestiame che includeva aree attualmente identificate come:
- Porta Ludovica
- Porta Tosa
- Porta Romana
- Porta Vigentina
- Le Parrocchie di Calvairate, Cascina Monluè, San Gottardo, Parrocchia della Barona (l’attuale S. Nazario e Celso), Gratosolio.
- Porta Vercellina
- Comasina
- Parte dell’area del Navliglio della Martesana
- Porta Nuova
- Isola Garibaldi (compresa nell’area del Borgo del territorio di Porta Nuova)
- etc…
Breve storia della Chiesa di San Cristoforo alla Barona
Come noto e come fruibile da tutte le fonti biografiche dedicate a questa chiesa, la medesima è in realtà la storia di due chiese, o ancor meglio delle Chiese. L’attuale chiesa è la congiunzione di due costruzioni distinte. Il complesso di S. Cristoforo è quindi costituito da due chiesette affiancate. La più antica, di epoca romanica, risale al 1192, ma fu ampiamente rimaneggiata nel Trecento. Dopo la fine della peste del 1399, attribuita da credenze popolari all’intercessione di San Cristoforo, Gian Galeazzo Visconti fece erigere la seconda chiesa, chiamata anche Cappella Ducale.
Quella a sinistra della facciata risalirebbe al 1200 Dopo Cristo (XIII secolo), oggetto di riassetti evidenti (portale e rosone) intorno alla metà del 1300. Alcune fonti non dimostrabili sostengono che sia sorta sopra un tempio pagano.
La seconda Chiesa (dal lato dell’alzaia Naviglio Grande) fu voluta dal Duca “Signore di Milano”, Gian Galeazzo Visconti verso la seconda metà del 1300 (in origine era chiamata Cappella Ducale).
L’edificio, unificato esternamente ma diviso internamente dalle pareti divisorie originali venne integrato intorno al 1625 con l’abbattimento dei muri divisori interni intorni ai quali venne realizzata l’originale Cappella Ducale.
Esternamente la facciata presenta due stemmi in altorilievo. Uno (basilisco) stemma dei Visconti, il secondo del Comune di Milano.
Nella foto sottostante l’attuale facciata della Chiesa con gli stemmi dei Visconti e del Comune di Milano.
San Cristoforo è il santo protettore delle persone che hanno a che fare con il trasporto, barcaioli, pellegrini, oggi anche i pendolari, ferrovieri, etc…
Prima del battesimo il suo nome era Reprobus ed era un traghettatore di un fiume nella Licia (regione dell’attuale Anatolia in Turchia).
Una leggenda vuole che un giorno, trasportando un bambino, questi rivelo’ essere Cristo.
Cristoforo, in Greco antico significa Portatore di Cristo.
Fonte biografica e immagine tratta da:
https://vecchiamilano.wordpress.com/2010/07/09/san-cristoforo/#more-1548
La Barona, sin dal 1500 era un mosaico di poderi cascinali e mulini, alcuni dei quali (non tutti) sono miracolosamente sopravvissuti, in tutto o in parte a lottizzazioni e speculazioni edilizie, come si evince da questo inventario cronologico (link sottostante). Parte di questi cascinali sono sopravvissuti in virtu’ di una fortunata limitazione dei piani regolatori urbanistici del 1900 (in parte attuati solo nel ventennio fascista e tra gli anni ’50 e ’60 del 1900) che non andavano oltre le attuali Via Ovada e Via Parenzo. Negli anni ’60 e ’70 del 1900 la costruzione del Q.re S. Ambrogio 1 determinò la demolizione di varie cascine tra cui la Beldiletto.
http://www.abconlus.eu/basilica/Barona/index.htm
Storia della Barona (1500 circa-1880-oggi)
La sovrapposizione delle due date di fusione del Borgo Barona con il Comune di Milano coincise con la costituzione di una importante fabbrica di ceramiche. Questa fa intuire che realtà ex industriali come la Richard Ginori (costituita nel quartiere di Milano-Barona S. Cristoforo nel 1833) si evolvettero a cavallo tra le amministrazioni delle dominazioni austriache e del neo Regno d’Italia, istituzione che solo in parte potremmo considerare benefica e portatrice di sviluppo, modernita’ e progresso, anzi, una Nazione nata sotto la cattiva stella delle mafie e di una filosofia semi borbonica la cui pesante eredita’, anche nell’attuale quartiere Barona, trova l’identità negativa nel nome dell’infiltrazione mafiosa.
Prima delle realta’ industriali Richard Ginori e Cartiere Binda e prima dell’accorpamento con il Comune di Milano, il Borgo Barona vide un periodo lungo e stabile di realta’ agricola fatta di estesi poderi e cascinali, opere idrauliche dei Navigli e varie canalizzazioni con alcuni “intermezzi” storici ed artistici nelle Cascine Monterobbio e Moncucco.
Mons Robur (Cascina Monterobbio)
Costruzione del cascinale intorno al 1500 (XV-XVI secolo) o antecedente, verso il 1400. Iniziale Convento Agostiniano, gia’ parzialmente di proprieta’ dell’Ordine delle Monache di Fonteggio, beneficiarie verso il 1500 della donazione dell’intero manufatto. Le Monache di Fonteggio erano già proprietarie della Chiesa di Santa Maria della Rossa (Chiesa Rossa nella confinante Via della Chiesa Rossa ex Zona 15). Pare che la Cascina Mons Robur = Monte Quercia (inglobata in un bosco, considerato sacro, di querce, sempre sito di riti pagani celitici) e la “Chiesa Rossa” fossero collegate da un passaggio sotterraneo che si districava al di sotto del Naviglio Pavese attraversando un bosco di quercie che si estendeva dalla Monterobbio sino alla Chiesa di Santa Maria della Rossa. Pare che venne utilizzato anche dalla Resistenza partigiana durante la seconda guerra mondiale.
Gli annali narrano di un soggiorno di Napoleone Bonaparte alla Cascina Monterobbio ed anche del pittore Francesco Hayez del quale ne verrebbe attribuita la paternita’ di alcuni affreschi presenti tutt’oggi nel cascinale. La cascina, pare, fu anche breve luogo di soggiorno di Leonardo da Vinci. Fu luogo di soggiorno e di proprieta’ anche del curatore-segretario privato di Alessandro Manzoni.
Sembra che il capitolato artistico commissionato a Francesco Hayez (dal curatore privato di Manzoni), nel periodo in cui era proprietario, non venne integralmente apprezzato e ne nacquero dei contenziosi che culminarono, (pare), nell’intonacatura a gesso di una buona parte di questi affreschi realizzati da Hayez su commissione del Manzoni.
La vicenda della Cascina Monterobbio meriterebbe libri e siti internet a parte (ovviamente non Facebook) essendoci state, nella storiografia recente (anni 80 del 1900 sino alla data attuale del 2017), istanze di recupero artistico e storico del sito in questione.
Verso il 1985/86, in una Milano non ancora ridotta a lotto per grattacieli Regione Lombardia, Torri Bosco Verticale, Unicredit, Allianz, Bunga Bunga, City Life, Expo, mafie e altro ancora… (quanto il ventennio berluscadero , tutt’oggi in corso, avrebbe proposto dal 1993 ad oggi…), comitati spontanei di cittadini residenti, coordinati anche dal Consiglio di Zona 16, segnalatono al Prefetto ed alle varie sovtintendenze dei Beni Artistici la presenza di opere d’arte affrescate nei saloni e negli ambienti interni a tale cascinale.
Indubbiamente, i 6 anni circa, dalle segnalazioni che precedettero la dipartita del PSI cittadino (tangentopoli 92) che sulla carta si proponeva di riqualificare e recuperare l’area in polo museale… indicano che nemmeno l’allora amministrazione Pillitteri dimostrava, tutto sommato, interesse verso la cosa (nonostante le istanze di recupero vennero comunicate sotto l’amministrazione dell’illuminato Sindaco Tognoli…)…
Nel 25ennio di Forza Italia, 35ennio Lega Nord e 25ennio Alleanza Nazionale (oggi Fratelli d’Italia) le cose non andarono di certo meglio (dal 1993 al 2011)… anzi molto peggio e di cascine (in Barona… e non) bruciate dalla ‘ndrangheta e/o dai palazzinari ad essa gravitanti, se ne annoverano parecchie… Nemmeno il Pd ha dimostrato significativo interesse sino in tempi recentissimi ???… dove esisterebbe un recente Bando per concessioni sul recupero artistico e architettonico della Monterobbio (salvo incendi dell’ultima ora…).
Il dubbio di questo Bando è rappresentato dal fatto che il recupero, ancor prima che edilizio, dovrebbe essere di tipo artistico, a cura delle sovrintendenze dei beni artistici, forse ministeriali, con i conseguenti vincoli storici previsti per questo genere di recuperi…
Anche se fosse…. questo rappresenterebbe un recupero artistico o una ulteriore estensione del lembo piu’ periferico e meridionale del Moncucco a residenza studenti IULM e/o ristoranti divertimentificio limitrofo allo scempio gia’ esistente del Ticinese-Darsena ???
Sembra che la cascina nasconda opere di Hayez del tutto inedite, che recuperate inserirebbero uno spicchio del quartiere Barona negli itinerari internazionali artistici italiani ed europei.
Certo, la Barona non è Pompei e nemmeno gli Uffizi di Firenze… ma si tratterebbe di beni artistici inediti appartenenti alla storia dell’arte italiana.
Le contestualizzazioni storiche che furono all’origine degli affreschi di Hayez… vennero confermate da ricercatori universitari dei Poli universitari milanesi (anche se con timide tesi universitarie… occorrerebbero approfondimenti da parte delle autorita’ preposte…).
Il sito, come quelli di altri cascinali ubicati nella ex Zona 16 e limitrofe, oltre che essere bisognoso di restauri, recuperi e conversioni in siti museali, potrebbe diventare oggetto di itinerari turistici e di un indotto economico e magari anche di un mimino occupazionale ? (siamo oviamente nell’utopia. Saremmo nel quasi possibile se Milano finisse di essere considerata, dal punto di vista turistico ed artistico, solo Piazza del Duomo, San Babila, Vittorio Emanuele, Corso Bueros Aires e un Castello Sforzesco che non sempre entusiasma piu’ di tanto… e si incominciasse col finire di nascondere le periferie sempre piu’ lontane e distanti dal centro storico e dalle speculazioni edilizie di Porta Gribaldi e City live ed ex area Expo… e proporre realmente la storia di Milano e non solo shopping sul Sagrato di Piazza Duomo).
Si evidenzia che la Monterobbio è potenzialmente oggetto di un bando comunale per il suo recupero (un Bando ambiguo in quanto fa riferimento ad un recupero della superficie…).
Si evidenzia pero’ che la stessa Monterobbio è concretamente a rischio di incendi e atti dolosi (molto frequenti nel quartiere negli ultimi decenni) essendo limitrofa ad aree di lottizzazione edilizia e commerciale che sino ad oggi sono state risparmiate dal “Ciclone” di Forza Italia-Lega Nord-Alleanza Nazionale, oggi Fratelli d’Italia e anche PD.
La Monterobbio confina con un costruendo supermarket che sta sorgendo su un’area molto ristretta…. quasi le stesse “stretta” tale cascina…
… Cascina Monterobbio….per alcuni aspetti darebbe “fastidio” ai lottizzatori che vorrebbero investire e speculare sulla realizzazione di un’area commerciale (costruenda in un territorio saturo di centri commerciali e supermarket, vedesi Rozzano, Assago e la stessa Barona e Ticinese) dove edificare nuovi condomini, torri, e altro ancora (Romolo-IULM è vicina e nulla impedirebbe una soluzione di continuita’ …).
L’incuria e l’abbandono trentennale della cascina Monterobbio sono anche conseguenti al post Tangentopoli 92 ed a un trentennio berlusconista costellato da bolle immobiliari, speculazioni edilizie, lottizzazioni, Bunga Bunga, mafie e affarismo senza scrupoli (tutt’ora in corso sino a quando sara’ in vita…) ed una Milano simboleggiata solo nelle sue reti Mediaset…
A questo si aggiunge la soppressione dei consigli di Zona, soppiantati dai Municipi, copiando dalle male amministrazioni romano-capitoline dove per incrementare i posti di lavoro nelle amministrazioni comunali (questo porta voti e appalti e sub appalti…) si accorpavano intere fette di citta’ in suburbi comunali con incremento dei dipendenti comunali e di sub appalti per la gestione delle burocrazie.
L’indifferenza (anche del contesto storico) del passato e futuro di Cascina Monterobbio e simili non ha risparmiato nemmeno coloro che tra pagine facebook e e libri, ignoravano che il vecchio dosso di Viale Famagosta (vedesi l’articolo dedicato a Famagosta e Moncucco, sopra linkato) venne realizzato, nella meta’ degli anni ’60, per collegare due cascine, gia’ primitivamente accorpate (prima della costruzione del Viale) dalla Via Moncucco, all’epoca via interpoderale di campagna. Le cascine collegate e operative in un’unica struttura agricola, sino agli anni ’60, erano la Cascina Moncucco e la Cascina Monterobbio. La realizzazione del tratto finale di Viale Famagosta, troncava le due cascine. Un probabile progetto conservativo prevedeva la realizzazione di un dosso (quello che esistette tra il 1966 circa sino alla fine degli anni ’80) che fungesse da sottopasso alla Via Moncucco, onde mantenere collegati i due cascinali.
Per motivi non tracciati storicamente, malgrado la realizzazione del dosso, la Via Moncucco e le due cascine, un tempo direttamente servite da una strada poi troncata, vennero separate definitivamente dalla presenza del Viale Famagosta a collegamento della Piazza Maggi (nelle vicinanze la cascina Torretta venne demolita a fine anni ’50 per fare spazio al quartiere Torretta). Il dosso divenne un’opera incompiuta…
Forse questo Blog è il primo ad avere scoperto, in modo magari empirico, (ad “intuito” piu’ che sulla base delle documentazioni reperibili), questi dettagli che nel recentissimo passato vennero erronamente attribuiti (il dosso) alla realizzazione di una superstrada cittadina, detta LA RACCHETTA, in progetto negli anni ’50, progetto poi abbandonato verso il 1958… (vedesi l’articolo sopra linkato dove “qualcuno” cerco’ persino di influenzare i contenuti di questo blog a favore dell’errata teoria del dosso realizzato per il passaggio di una superstrada cittadina che avrebbe richiesto, un terrapieno ampio almeno 3 volte tanto… rispetto al dosso che i vecchi residenti ricorderanno).
Mons cucus (Cascina Moncucco)
(fonte storica http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/LMD80-00920/)
Non sono certe le origini del nome di questa cascina (e dell’annesso ex Mulino Ceresa). In Lombardia esistono altre cascine con lo stesso nome (Torino, Monza, Brugherio e decine di altre sparse in diverse regioni).
Se in latino mons cucus puo’ significare un piccolo rilievo, un dosso, una piccola sommita’ del terreno (comunque assente o apparentemente non piu’ presente dove sorge la ex cascina, oggi residenza universitaria IULM), considerando anche l’etimologia francese (moncuc = cascinale), l’origine certa del nome di questa ex cascina (come di omonime sparse per il Nord Italia ve ne sarebbero moltissime, a decine…) resta tutt’oggi argomento di discussione.
Anche l’epoca di costruzione non è del tutto definita, forse XVII°- XIX° secolo, decisamente piu’ recente rispetto alla Cascina Monterobbio con la quale condivideva la onomima Via Moncucco e attivita’ agricole e di allevamento animali sino alla fine degli anni ’60 (1967), quando l’espansione urbana, stradale e edilizia del quartiere vide il completamento di Viale Famagosta e per ironia della sorte un “mons cucus” (dosso) realizzato, forse, per permettere alla Via Moncucco un attraversamento di sottopassaggio (a ridosso del Palazzo Coop) al viale appena realizzato, allacciamento veicolare ad uso agricolo mai completato (il punto di innesto dalla Via, dove sorgeva la “collinetta” artificiale di Viale Famagosta, davanti al Palazzo Coop, sconfinava dove stava sorgendo il Palazzo “Savoia Assicurazioni” disegnato da Gio’ Ponti. La collinetta anomala venne poi definitivamente spianata verso la fine degli anni ’80 durante l’ampliamento veicolare del tratto finale di Viale Famagosta anche in previsione della costruenda stazione M2 della metropolitana).
Quando il complesso cascinale sorse era parte del “Vicus Baroni”, integrato nel territorio dei “Corpi Santi”, che pur aderendo amministrativamente al Comune di Milano beneficiava di autonomia.
Come noto questo complesso cascinale apparteneva ai capi famiglia dei Bolagnos per poi essere ceduta alla principessa del Galles Carolina di Brunswich-Wolfenbuttel la cui condotta dai costumi spregiudicati le fece conquistare la fama di “cortigiana”.
La storia della Cascina Moncucco, segreti “piccanti”, ambigui e oscuri, con condotte impudiche e “immorali” non si estinsero con la Carolina di Brunswich-Wolfenbuttel…
Negli anni ’50, la cascina Moncucco rischiava di essere demolita (quanto meno una parte di essa) per lasciare spazio ad un progetto di superstrada cittadina che dalla costruenda Via del Mare, circa 200 metri prima della Piazza Maggi, avrebbe dovuto sopraelevarsi sul futuro Viale Famagosta e dirigersi all’intersezione di Viale Liguria-Viale Romolo.
Il progetto venne abbandonato verso il 1958 (principalmente per mancanza di fondi erogati dai ministeri romani in favore, anche, di nuovi progetti di tangenziale esterna alla citta’).
Il cascinale ebbe una conduzione agricola sino al 1970 circa. Alcuni anni prima il Mulino Ceresa venne rilevato per essere trasformato in una locanda ristorante trattoria (“La Fogna”). Tale locale divenne inizialmente una specie di trattoria di tendenza (frequentata anche da uomini di spettacolo e qualche VIP) vivacizzata dalla presenza saltuaria di alcuni gruppi emergenti di cantanti e musicisti. Negli anni 60 e ’70, la Via Moncucco venne esclusa dall’accesso veicolare diretto dalla Via La Spezia (in conseguenza della realizzazione del lotto IACP nella nuova Via Rimini) per accedervi solo dalla parte finale, senza uscita, di Via Rimini, a ridosso della Roggia Boniforte ed estinguendosi in corrispondenza del dosso di Viale Famagosta nel lato Ovest del Palazzo Coop. La via e l’area si degradarono molto rapidamente. Anche l’inquinamento e il degrado ambientale prevalsero per decenni. La Roggia Boniforte (fruita dagli ex residenti della Cascina Moncucco) divenne, sempre in quel periodo, una discarica a cielo aperto risentendo anche di inquinamento ambientale per i refulssi del colatore Olona verso la quale le sue acque confluirono.
Il sito, pertanto, negli anni ’70, divenne luogo di un certo degrado periferico.
Verso la fine degli anni ’70 ll locale “La Fogna” venne rilevato da titolari vicini al mondo del crimine organizzato, diventando la “Locanda delle streghe”.
Nella tarda serata del 3 Novembre 1979 la nota strage di sospetta mafia.
I dettagli sono disponibili nelle sottostanti sezioni storiche del quartiere Barona, relative agli anni ’70.
Cascina Ronchetto sul Naviglio
(http://www.storiadimilano.it/Repertori/cascine/cascineweb.htm)
Gia’ presente nel Catasto Teresiano, censita come un insieme di edifici agricoli a contorno di una piazza di cui la cascina chiudeva il lato sud andandone a definere la corte di tale complesso che nel lembo meridionale era la cinquecentesca villa della famiglia Corio, di cui Giovanni Antonio era Capitano del corpo delle guardie di Giovanni Maria Visconti.
I Corio, durante il XVI secolo vantavano diritti di riscossione di dazio sulle merci che navigano lungo il Naviglio Grande.
La proprieta’ venne poi ceduta ai Durini di Monza che commissionarono lavori di migliorie e ampliamento mai portati a termine.
Il fabbricato adibito a dimora padronale presenta, nel porticato, degli affreschi sul soffitto dell’androne.
Società Ceramica Richard
(1833)
La prima e più importante fabbrica della Barona (fabbrica di ceramiche e porcellane) fu quella realizzata nel rione S. Cristoforo (1833), meglio denominata ditta Gindrand (Società per la fabbricazione delle porcellane lombarde), sorse per volontà del Nobile Luigi Tinelli.
La Società Ceramica Richard di S. Cristoforo viene legalmente e commercialmente costituita dal fondatore Giulio Richard , nel 1873.
Nel 1896 avvenne la nascita della Richard Ginori, dalla fusione della società Ceramiche Ginori con la manifattura Marchesi Ginori.
Lo sviluppo industriale, urbano e sociale del territorio della Barona, vide principalmente nell’indotto di questa fabbrica di ceramiche (quindi nel Rione San Cristoforo) il suo nucleo storico centrale avente come vòlano di integrazione definitiva dell’ex Borgo (Corpi Santi) Barona con la Città di Milano, tale stabilimento, realizzato lungo la Lodovico il Moro, dove vi era (per quei tempi) una importante via di trasporto, rappresentata dalle acque del Naviglio Grande. Questa fabbrica contribuiva ad urbanizzare alcune vie limitrofe, quali le vie Morimondo, via Pestalozzi… cosi’ come l’istituzione delle prime tramvie a cavalli (OMNIBUS) intorno al 1884.
Il Naviglio serviva come mezzo di trasporto per le attività industriali della Barona ed anche come bacino idrico per le case di ringhiera prive di acqua corrente, case che erano dimora delle famiglie di operai della Richard Ginori .
Approfondimenti sulla storia delle manifatture Richard Ginori di Milano alla Barona, sono fruibili in questo sito (Associazione museolab6) :
https://www.mumi-ecomuseo.it/infodiscs/view/37
dal quale si estrae una fonte integrativa:
Nel 1844 il Richard tiene occupate 240 persone e, pur costituendo la porcellana per diversi anni il principale prodotto, già si produce terraglia dura: il caolino si acquistava in Francia, il quarzo era nazionale e il feldspato veniva da Varenna. L’impresa industriale nel 1855 è solidamente stabilita. “I disegnatori, i dipintori delle porcellane e i modellatori dei pezzi son quasi tutti di Lombardia”, lo stabilimento è stato ampliato e con l’opera continua di 320 persone si fabbricano annualmente 700.00 pezzi di porcellana e 1.600.000 di terraglie e di stoni all’uso inglese, nonché 200.000 bottiglie da birra e da liquori. Le bottiglie da birra consistevano in recipienti di terraglia assai cari agli amatori del “Birrone di Chiavenna” che già negli anni Venti del Novecento qualche vecchio milanese ricorda con nostalgia. La dimensione della produzione, che abbraccia ogni genere di ceramica, dalle più aristocratiche alle più umili e varie espressioni e i susseguenti ampliamenti dello stabilimento, impongono a questo punto a Giulio Richard la trasformazione della proprietà personale in proprietà sociale e nel 1873 si costituisce la Società Ceramica Richard: ormai gli operai sono 463, coadiuvati da 43 impiegati. La gamma dei prodotti va dalle porcellane e terraglie di lusso ai comuni articoli per le industrie seriche ed elettrotecniche, oltre al grès, alle maioliche artistiche e ai mattoni refrattari per forni e ferriere. In una relazione sullo stato delle industrie milanesi (G. Colombo, 1881), parlando dello stabilimento, si afferma che esso “è colossale ed è la più grande delle fabbriche italiane, che si dieno alla produzione corrente per gli usi della vita ordinaria, pur non trascurando il genere di lusso” ed è uno dei pochi opifici milanesi a grande impianto e “tra i più perfetti come organizzazione interna”. Nel 1881, infatti, trionfa alla famosa e indimenticabile Esposizione: siamo ormai intorno a una produzione di 8 milioni di pezzi.
…Intanto Augusto Richard succede al padre Giulio nella conduzione della Società: con l’avvento di Augusto si conclude la parte romantica, pionieristica della manifattura. Augusto imprimerà una svolta più marketing oriented, e i Richard, dopo l’acquisizione di altri stabilimenti, mettono a segno un colpo di politica commerciale strategicamente straordinario per quei tempi, incorporando nella Società Ceramica Richard nel 1896 la grandiosa manifattura Ginori di Doccia, emblema stesso della qualità massima nella porcellana d’arte italiana e universalmente riconosciuta anche all’estero. Da questo momento San Cristoforo cessa la produzione della porcellana, rimasta a Doccia, e concentra il suo core business nella produzione della terraglia dura, importantissimo genere ceramico che si presta ad ogni lavorazione, la cui intuizione industriale è tutta da ascrivere a Giulio che ne coltivò con merito l’introduzione in Italia. All’inizio degli anni Venti la Richard Ginori è già un marchio di garanzia affermato; sul Naviglio Grande a San Cristoforo è nata una piccola cittadella che i Richard dotano di case per gli operai ed impiegati come anche di scuola e servizi sanitari.
È di quegli anni (1923) l’incontro fortunato dei Richard con un giovane architetto, Gio Ponti. La Richard Ginori è per Ponti un terreno ideale di sperimentazione e massimamente idoneo all’applicazione del suo ingegno creativo di marca novecentista. Egli può approfondire la conoscenza dei materiali e le procedure tecniche di realizzazione con un gruppo di maestranze di notevolissimo livello. In breve assume l’incarico di direttore artistico che mantiene fino ai primi anni Trenta.
Ponti coinvolgerà e inviterà a collaborare per la realizzazione di modelli scultorei artisti come Salvatore Saponaro, Enzo Ceccherini, Bruno Innocenti, Fausto Melotti, Germiniano Cibau, Tomaso Buzzi. Ma con Ponti il connubio è esemplare. Raramente si è vista consonanza più armonica tra progettazione artistica e produzione industriale. Siamo agli albori del design industriale e Ponti ne è senz’altro pioniere cosciente. Il plauso che gli viene tributato è confermato dal successo che i prodotti da lui messi a punto incontrano nel pubblico, un pubblico più sofisticato e sensibile alle sue “grazie” neoclassiche. La Richard Ginori tocca il suo apogeo. Nel 1925, nel 1927 e nel 1930 la manifattura è presente alla Biennale di Arti Decorative di Monza con una produzione raffinata e di grande qualità artistica, firmata Ponti…
LE PRINCIPALI FASI DI ESPANSIONE INDUSTRIALE DELLA RICHARD GINORI
http://www.vittorininet.it/supporto/multimedia/richardginori/Storia%20San%20Cristoforo2.htm
http://www.vittorininet.it/supporto/multimedia/richardginori/Storia%20San%20Cristoforo3.htm
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CARTIERE AMBROGIO BINDA (anno di fondazione 1857)
Anche le Cartiere Ambrogio Binda (dislocate lungo il Naviglio Pavese in prossimità della Conca Fallata) ebbero analoga e strategica funzione industriale pionieristica nella fascia periferica di una Milano appena accorpata ai suoi ex borghi dei Corpi Santi. In Barona le fabbriche e la realta’ industriale, in buona parte, precedette l’arrivo delle successive grandi industrie del Nord e Nord Est di Milano, sconfinando con il Comune di Sesto San Giovanni per non considerare anche quelle confinanti lungo il Naviglio Grande come la Osram e l’Ansaldo tra il Giambellino e il quartiere Solari, siti comunque molto limitrofi all’ex Borgo Barona.
Sunto storico delle cartiere AMBROGIO BINDA E IL NAVIGLIO PAVESE di Teresa Ramaioli
(fonte http://tuttosu.virgilio.it/detail/AMBROGIO-BINDA-E-IL-NAVIGLIO-PAVESE–di-Teresa-Ram,IMBL_13285689_294244.html)
La cartiera Binda– Il suo fondatore, Ambrogio Binda, nato nel 1811 rimane orfano a sette anni, a otto si impiega in una fabbrica di passamaneria e a diciotto già lavora in proprio in campo tessile.
Una decina di anni dopo apre la prima fabbrica di bottoni d’Italia.
Avviatala, la lascia alle cure degli eredi, e decide con lungimiranza di dedicarsi alla produzione della carta, materiale che all’epoca doveva essere in larga parte importato dall’Europa del Nord, per mancanza di produttori italiani.
Per costruire la nuova fabbrica Binda individua i terreni adiacenti alla Conca Fallata, sul Naviglio Pavese: il salto d’acqua di circa 5 metri fungerà da forza motrice per le sue macchine.
Lo stabilimento vede luce nel 1857 e i primi anni d’attività recano subito grandi successi.
Purtroppo un rovinoso incendio distrugge nel 1871 buona parte del complesso, ma questo evento non ferma l’imprenditore, che nonostante la non giovane età si attiva immediatamente per la ricostruzione.
Quando nel 1874 Ambrogio Binda si spegne, la cartiera riedificata aveva da tempo cominciato a fare utili.
Continuerà a produrre fino al 1990, anno di chiusura.
La Barona (all’epoca identificata anche come Borgo di San Cristoforo) fece da precursore all’industrializzazione di Milano grazie alla presenza di canali navigabili (Grande e Pavese con le cartiere Ambrogio Binda). L’assenza di sufficienti reti di trasporto ferroviario industriale, dell’allora assenza di locomozione tramite motori termici, dei limiti di trazione animale rappresentata dai cavalli ritardarono lo sviluppo industriale a nord della città rispetto a quanto avvenne nel settore sud occidentale. La presenza di canali navigabili come i Navigli Grande e Pavese (con un bacino canalizzato piu’ ampio ed esteso rispetto al Naviglio della Martesana) favoriva il trasporto di materia prima e materia lavorata con una facilità e agevolazione non possibile con altri mezzi di trasporto all’ora disponibili e non a caso in prossimita’ dell’attuale ex ponte di ferro ferroviario Richard Ginori, vi erano collocate delle gabelle daziali, ricordo storico oggi completamente scomparso.
Del resto, la descrizione del profilo industriale e manifatturiero della Barona a fine 1800 lo troviamo descritto in questo passaggio storico tratto dal web
http://www.mumi-ecomuseo.it/infodiscs/view/37
“La gran parte della sua popolazione si dedica ai trasporti, alla concia delle pelli, alla fabbricazione della carta e delle stoviglie. Possiamo tranquillamente affermare che nel borgo di San Cristoforo si iniziasse la vita industriale milanese e nazionale. In pochi anni le modeste cartiere, le fornaci, le conce e lo stabilimento ceramico dell’epoca romantica avevano operato un miracolo convertendo in una piccola città il tranquillo borgo: protagonista indiscusso della miracolosa trasformazione è lo stabilimento fondato da Giulio Richard.” (…)
Quello che preme riassumere, storicamente, nella cronologia di queste pagine, oltre la breve storia delle industrie che hanno inizialmente urbanizzato, nel bene e nel male (come qualsiasi realtà industriale) l’ex borgo Barona, sono le, seppur primitive, infrastrutture industriali e di trasporto che si estesero e crearono dal nulla, tra un naviglio e l’altro, tra queste due industrie, separate da campagna, campi, qualche risaia, rogge con acqua pulita e altre come il Lambro Merdario (poi rinominato Lambro Meridionale) gia’ all’epoca destinate ad essere reflui di scarichi di “acque nere”, a ridosso di una nascente Cintura Sud ferroviaria.
Infatti dal Borgo di S. Cristoforo sino alla Conca Fallata si sviluppava una ferrovia a cavalli da tiro, anzi, piu’ correttamente un binario dove venivano trainati i vagoni merci a trazione animale che permettevano, non solo l’eventuale interscambio di merci tra le due industrie ma anche il transito di quello che doveva raggiungere, come provenire dal pavese e da Pavia, avveniva tramite un troncone ferrato esteso tra le due industrie tra il Naviglio Grande (Via Richard) e Pavese (Conca Fallata) con innesto nella Milano Mortara (da Via Richard verso lo Scalo S. Cristoforo-Porta Genova/Ticinese).
Quindi l’archeologia industriale di Milano e di questo suo ex borgo ha come anello primordiale di sviluppo, un “ponte” ingegneristico con il Rinascimento Leonardesco dei canali navigabili.
Questo tratto ferrato, come verra’ piu’ volte ricordato in seguito, si estendeva da un muro di cinta della fine della Via Giacomo Watt (quasi davanti al Giardino d’infanzia Richard) la attraversava tutta, intersecando l’incrocio con le Via Binda-Pestalozzi, proseguire lungo la Via Franco Tosi, solcare un ponticello sorto con tale funzione in parallelo al preesistente che raccordava la Via Zumbini con la Via Schievano (oggi Piazza Bilbao), scorrere parallelamente lungo l’attuale via Santander a ridosso dell’ex Lambro Merdario, intersecare quelle che oggi sono i Viali Famagosta, Via del Mare, quartiere Torretta e terminare il proprio cammino in corrispondenza della Conca Fallata Cartiere A. Binda.
Rattrista il constatare che il territorio solcato, in buona parte da questa ferrovia industriale di interscambio, condotto con buoi e cavalli da tiro, dalla meta’ degli anni ’70 divenne, in seguito ad errori urbanistici, luogo di rapido degrado urbano, un tunnel dell’abbandono e dell’emarginazione che nemmeno oggi è del tutto superato e conseguente ad errori edilizi compiuti nella realizzazione di lotti di edilizia popolare presto diventati i fortini del degrado ed alla rilevazione di alcuni ex mulini e cascine, già convertiti in trattorie e localetti esclusivi in covi del crimine organizzato (vedesi “strage del Moncucco” nel 1979).
Per tutti coloro che fossero interessati ad approfondire la storia dell’archeologia industriale italiana, nata a cavallo della cosiddetta Rivoluzione Industriale Inglese, e’ possibile conoscere l’origine della prima fabbrica di porcellane, forse la prima vera industria che sorse dopo il Rinascimento ed ancor prima della “Rivoluzione dei lumi”, l’illuminismo che decretava, almeno sulla carta, la nascita, nel bene e anche nel male (molto) della rivoluzione industriale e del capitalismo globale attuale… ovviamente la nascita degli stabilimenti nel Borgo Barona della prima fabbrica italiana Gindrad di ceramiche e affini, l’impostazione industriale, aveva, forse, finalità differenti dalle egemonie colonialiste britanniche del 1800 (secolo XIX).
http://www.vittorininet.it/supporto/multimedia/richardginori/Storia_richard_approfondimento.htm
Gli stabilimenti Richard Ginori e le Cartiere Ambrogio Binda condivisero anche una tratta di ferrovia locale, a binario unico, che collegava le due industrie e queste con lo scalo ferroviario di San Cristoforo.
Breve storia dell’accorpamento (1924) della Frazione Ronchetto sul Naviglio alla Barona e al Comune di Milano
La località Rochetto sul Naviglio era una frazione autonoma dal Comune di Milano sino al 1924, anno in cui venne definitivamente accorpato a Milano e parte del q.re Barona.
In realtà l’accorpamento di questa frazione venne già reso esecutivo nel 1808 e 7 anni dopo annullato dall’amministrazione degli austriaci. Prima dell’accorpamento definitivo, divenne frazione di Buccinasco (fonti Wikipedia). Questa ex frazione, come la confinante Corsico, beneficiarono, verso la metà degli anni ’80 del 1800, dell’ominibus (tramvia a cavalli) Milano-Corsico-Abbiategrasso, elettrificata dalla Edison, intorno al 1903. Dismessa nel 1966 per acconsentire l’ampliamento della sede stradale della strada che costeggiava il Naviglio Grance (nel tratto di Milano, via Lodovico il Moro/Ripa P.ta Ticinese). Ronchetto fu teatro, nel giorno della Liberazione (25 Aprile 1945), di un sanguinoso conflitto a fuoco nel tentativo di bloccare veicoli delle divisioni tedesche in fuga da Milano.
Lo sviluppo e l’assetto urbano periferico della Barona rimase pertanto tale (confinato nel Rione S. Cristoforo), espandendosi solo minimamente tra la fine del 1800 sino all’avvento del Fascismo (Ventennio) con l’accorpamento della frazione del Ronchetto, attraverso la realizzazione di primitive infrastrutture industriali di trasporto come la sopra accennata ferrovia per vagoni, trainati principalmente da cavalli da tiro. Questa ferrovia a “locomozione animale” solcava le Vie Giacomo Watt e Franco Tosi e si disperdeva per le campagne a ridosso dello scolmatore Olona, sino a raggiungere la Cartiera Ambrogio Binda a ridosso del Naviglio Pavese.
A partire dalla fine degli anni ’20 del 900 (dopo l’elettrificazione del 1903 della tramvia ex Omnibus Miano Corsico-Abbiategrasso, già transitante lungo i confini Nord della Barona), venne istituita una linea tramviaria (il tram 12) che attraversava da Nord a Sud parte del quartiere storico sino alle vicinanze (Via Biella/Simone Martini) dell’attuale Piazza Miani (ex Piazza Predappio). Nella Piazza Miani (all’epoca Piazza Predappio) vennero edificati dei complessi di case popolari nelle attuali Viale Famagosta 1, Via Ovada e successivamente Viale Faenza e Via Voltri.
La didascalia dell’immagine sovrastante, descrive (purtroppo senza immagini dirette) lo stato in cui versavano le periferie milanesi durante il ventennio fascista. Sia prima di tale Regime, sia durante ed anche dopo, e per circa un trentennio, dopo la sua fine e anche oltre, le periferie milanesi, ereditarono uno stato urbanistico, in certi versi, disastroso, frutto delle indifferenti amministrazioni del “Regno” d’Italia e del Regime fascista (che preferiva dedicarsi al centro di Milano, vezzo purtroppo ereditato anche dalle amministrazioni sorte con la Repubblica Italiana).
Il fascismo offriva (dietro tesseramento del PNF) a malapena, opere collettive, come le linee tramviarie (per acconsentire al proletariato di periferia di recarsi al lavoro nelle industrie all’epoca dislocate all’interno della città) e alloggi popolari (o case di ringhiera quando si stipulavano accordi con certe industrie che si avvalevano di padronati immobiliari dove collocare i propri dipendenti) prive di bagni (le uniche concessioni erano una turca per alloggio e un lavello nella cucina, dove si lavava tutta la famiglia se non si voleva andare nei bagni collettivi siti nel cortile, quando gli alloggi erano popolari, e bagni in comune nei cortili per le case popolari.
Per le case di ringhiera la turca era collocata nella scala e/o cortile comune (non mancavano anche casi dove di turche non ve ne fosse nemmeno una) e l’acqua corrente la si attingeva da una “tromba”, sovente pozzi idrici privati, sottostanti al terreno dove sorgevano la casa di corte, sorgenti prive di sistemi di potabilizzazione. Gli acquedotti servivano principalmente il centro città e le zone periferiche più vicine ad essi, ed in generale solo i palazzi privati o popolari allacciati alla rete idrica. Le risorse all’epoca disponibili venivano riservate al centro di Milano, per il riassetto della rete di stazioni ferroviarie (principalmente la Stazione Centrale di Piazza Duca d’Aosta), copertura cerchia e fossa dei navigli, Ospedale Niguarda (che in realtà venne realizzato con una prevalenza di donazioni di privati, piuttosto che da fondi di Regine), alcune direttrici come Viale Zara e Fulvio Testi, il Palazzo di Giustizia.
Anche le “pubbliche servitu'” (strade, illuminazione stradale, deflussi fognari acque bianche piovane) erano, spesso, assenti, come anche marciapiedi e aslfaltature. Le strade migliori erano quelle dove transitavano i tram. In Barona, parziali pavimentazioni stradali, compatibili anche per un traffico veicolare, erano limitate alle Vie Lodovico il Moro, Binda e Pestalozzi (la via Biella era sterrata e attraversata solo dai binari del 12) e parzialmente la via Giacomo Watt. Il Regime del Ventennio, per “addolcire” le amare pillole di quel periodo, realizzava sale cinematografiche di periferia (concepite per “svagare” una popolazione che non doveva occuparsi di politica e per indottrinarla, quando necessario, con pellicole di propaganda).
Il Cinema Universale (1940-1943) venne, con ritardo, dopo l’avvio del periodo bellico, inaugurato in Via A. Binda 4 nel 1940, in un quartiere (come in altre periferie), dove il Regime fascista concedeva, come servizi, praticamente quasi nulla (a parte i tram 12 e 19) e tale cinematografo rappresentava, per la logica di quel periodo, un salto di qualità e di presenza in quartieri dimenticati e trascurati, sicuramente anche un riferimento di rilievo ed a favore della propaganda.
Tale cinematografo di estrema periferia, vide gli anni migliori nel dopoguerra, cioe’ tra gli anni ’50 e ’60, pur essendo stato realizzato con finalità differenti dall’uso che ne venne poi successivamente fatto nei decenni successivi…sino al suo riciclo in Sala da ballo per pubblico maturo verso fine degli anni ’70 (dai residenti era chiamato “El bumba”, il Bomba, vedesi l’articolo dedicato a questo cinema).
La Barona, conobbe, sino ad anni ’80 inoltrati, incompiute urbanistiche (alcune strade incomplete, non asfaltate, prive di rete di deflusso pluviale, male illuminate, e persino, negli anni 60, palazzine IACP prive di allacciamento STIPEL/SIP telefonico). Erano i residui di pesanti eredità storiche (l’ultima il Ventennio fascista, ma anche la conseguenza di risorse governative mal gestite, destinate, come sempre, al centro cittadino, alla rete delle nuove metropolitane ed a deviazioni delle risorse infrastrutturali verso città e regioni beneficiarie delle varie Casse del Mezzogiorno e di Roma Capitale) che richiesero fondi e risorse centrali, successivamente redistribuite al Comune di Milano. Condizioni analoghe erano riscontrabili anche in quartieri come il Vigentino, Baggio, S.Siro, Q.to Oggiaro, Comasina, Greco, Crescenzago e Cimiano e anche Ponte Lambro di Milano.
La trascuratezza delle periferie (durante il Ventennio) era, pertanto, minimamente calmierata dalla realizzazione di complessi di residenza popolare (anche conseguenti alla volontà del Regime Fascista e dei piani urbanistici del Ventennio, di deportare le classi sociali più disagiate, dal Centro di Milano verso le periferie estreme e remote, dove “nascondere” le discriminazioni sociali del sistema fascista, pur considerando che all’epoca, chi non possedeva nemmeno la tessera del PNF non aveva diritto a nulla, quindi potenzialmente sfollato, senza fissa dimora ne lavoro… paradossalmente condizioni che oggi si rivivono con il potere assolutistico della partitocrazia), opere che imposero l’allestimento di varie linee tramviarie che si prolungassero verso i confini della città, ed anche la Barona venne attraversata da una di queste nuove linee.
Il tram 12, tramite binario inizialmente bidirezionale (dagli anni ’50 compenetrato lungo la Via Pestalozzi/Brugnatelli) e deviatoio (nella immissione Via Lodovico il Moro, Linea 19), accedeva e proveniva dalla Via Pestalozzi, per raggiungere il Capolinea Barona di Via Biella (dal 1955 prolungato in Piazza Miani). Stesso deviatoio anche per immettersi, nella direzione opposta verso la Lodovico il Moro in direzione Porta Genova e Centro Città.
Sempre nello stesso periodo venne istituita anche la linea tramviaria 19 con capolinea in Piazza Negrelli (il capolinea occupo’, sino agli anni 90 del 1900, un’area privata il cui affitto per l’usfrutto tramviario, veniva pagato ad un privato, direttamente dall’ATM, istituita a partire dal 1931 con la municipalizzazione della rete tamviaria milanese).
Dai primi anni ’30, sino al 1967, il Quartiere Barona venne servito solo ed unicamente da due linee tramviarie. Il 12 (Villa Pizzone-Barona) e il 19 (Vialba- Piazza Negrelli) e dall’attraversamento della tramvia per Corsico e Abbiategrasso (lungo la Lodovico il Moro), soppressa proprio nei primi mesi del 1967.
In quell’anno, l’istituzione della filovia 95, dopo il completamento di Viale Famagosta. La nuova linea filoviaria (1967-1977) si snodava dalla Stazione FS di Milano Rogoredo sino a Via Modica-Piazza Miani. Permetteva, per i residenti nella fascia periferica sud di Milano, un collegamento diretto con altri quartieri e con la rete Ferrovie dello Stato per treni diretti verso tutte le destinazioni italiane.
Nel dopoguerra, sino al 1970 circa, la tratta Porta Genova, Barona, era servita, nelle corse mattinali, anche dal tram 25 (interstazionale) che sino al 1975 circa, collegava tutte le stazioni FS, oggi sostituito dalla Linea 2 della metropolitana. Il 25, copriva il percorso del 12, dalla Stazione di Porta Genova sino a Piazza Miani.
Malgrado la presenza di linee tramviarie, il quartiere aveva un assetto periferico, urbanizzato solo lungo le direttrici tramviarie e presso il Santuario di Santa Rita da Cascia, lungo la omonima via. Oltre Piazza Miani e Via Voltri, la campagna agricolo-rurale e dei campi di risaie e mais (con una miriade di cascinali) dominava il territorio confondendosi con i Comuni di Corsico, Buccinasco e Assago, la dove i navigli non delimitavano ufficialmente i confini. Tra le realtà agricolo cascinali spiccava all’ora la Cascina Battivacco (“el bativac” detto dai residenti). E’ l’unica realtà locale di stampo agricolo e zootecnico “BIO” sopravvissuta sino ai giorni nostri (non di certo l’unica essendoci “aziende agricole” storiche distribuite anche in altre zone della periferia Sud e Sud Ovest di Milano (e non solo, simili realtà sono presenti anche nei confini Nord-Ovest di Milano, verso Rho, Lainate e Pero). Il Battivacco era anche un luogo di raccolta della “insalata matta” (Tarassaco e- Cicoria selvativa) che imbandiva, come contorno le tavole dei residenti che per costrizione o virtu’ dovevano, per ristrettezze economiche, attingere dai frutti della Madre Terra … L’insalata matta veniva raccolta anche lungo i cigli campestri della Via San Paolino e della Via de Pretis.
Nel periodo compreso tra la fine ‘800 e il periodo bellico, l’espansione del quartiere fu molto limitata. In genere edificazioni di case di ringhiera (case di corte) nelle Vie Pestalozzi, Lodovico il Moro e Watt e nelle Vie Binda/Zumbini (prevalentemente intorno all’ex Borgo Barona e al Rione San Cristoforo).
Nel 1902 la costruzione dell’omonima Scuola Elementare Pestalozzi e l’Asilo materno-Giardino d’Infanzia in Via Watt 39 (sorto nello stesso periodo), precedute e seguite da case di ringhiera. Ovvero alloggi modesti privi di bagni nei rispettivi alloggi, con turche in comune e la “tromba” (una pompa per alimentare un lavello destinato a lavatoio biancheria) che sovente attingeva da pozzi privati dalla sottostante falda acquifera… e strutture scolastiche materne e elementari concepite principalmente per i figli delle famiglie di operai della Richard Ginori. Oltre questo nessun’altra opera degna di nota interesso’ il quartiere.
Curiosamente, negli anni ’30 del 1900, la Curia meneghina scelse la Barona per la costruzione di un Santuario dedicato a Santa Rita da Cascia.
Per paradosso, lo sviluppo urbanistico di tutto cio’ che nella Barona andava (procedendo verso Ovest) oltre la Via A. Binda, venne accelerato dal completamento di tale santuario (Via S. Rita da Cascia, Via Ettore Ponti e le intersezioni secondarie).
Il Santuario sarebbe sorto in prossimità della intersezione Via Ettore Ponti. La via S.Rita era parallela (ma divergente, pur avendone la stessa origine da Piazza Ohm) ad una via interpoderale di raccordo tra il mulino Desa e la Via Richard snodandosi lungo tutta l’attuale Via Morimondo. Tale via (che aveva origine dall’area industriale Richard/Lodovico il Moro), intersecava l’attuale P.zza Ohm, tracciava l’attuale Via S.G. Cottolengo e terminava in prossimità della Cascina Verisetta (dove oggi sorgono condomini realizzati nei primi anni ’70). Fatto curioso, l’attuale via Morimondo, forse per un errore di alcuni cartografi, verso il 1930 appariva come via Varesinetta al posto di Morimondo e anche la Via Cottolengo appariva con la toponomastica di Via Beldiletto (tale via oggi sorge nell’intersezione della Via Ovada, Viale Famagosta).
Tale tracciato (che terminava dove oggi sorgono dei condomini alla fine di Via Bari), sarebbe divenuto la Via S. Rita da Cascia, convergente verso l’allora Piazza Predappio.
(Il tracciato, prima inesistente, venne solcato verso la fine degli anni ’30, in coincindenza del cantiere del Santuario di S. Rita da Cascia. Solo nell’immediato dopoguerra, la Via S.Rita venne in parte pavimentata, pur conservando sino a fine anni ’50, un aspetto di via semi sterrata e stretta di estrema periferia campagnola).
Del Mulino Desa oggi ne resta solo un tronchetto essendone stata demolita una parte, negli anni ’80, per fare spazio alla Via Walter Tobagi. Via Santa Rita da Cascia, era all’epoca, (anni ’40) ad uso agricolo e camionale per il trasporto di materiale inerte dal Naviglio Grande (via Richard ex Dazio) verso alcune piccole fabbriche ubicate nelle Vie Binda-Portaluppi-Ponti. Questa estrema periferia venne quindi eletta come luogo di futura edificazione del Santuario di Santa Rita di Cascia (a partire dal 1939, poi i lavori vennero interrotti nel periodo bellico, successivamente ripresi ultimati intorno alla metà degli anni ’50).
Lo stesso Santuario completato (1956 ca)
La Barona era nota (negli anni pre bellici) per la presenza di alcune fabbriche, fonderie e magazzini nelle vie Barona, Felice Venosta/Simone Martini/Paul Valery.
Tra queste vi era la Mapelli di Via Andrea Ponti, e nel quadrilatero compreso tra Via Ettore Ponti e Portaluppi/Binda. Degno di nota era l’ex serbatoio di carburanti VICTORIA (ubicato vicinanze via Zumbini e futura Piazza Bilbao), il quale condivideva una diramazione del tracciato ferroviario che solcava le vie Watt, Franco Tosi, verso la Conca Fallata da e verso le cartiere Binda e la Richard Ginori).
Resistenza dei Partigiani alla Barona
Nel periodo bellico, la Barona fu teatro di feroci rappresaglie fasciste dirette a danno di parte della popolazione residente e contro i partigiani (varie lapidi/targhe ricordano gli eccidi commessi, tra le Vie Watt e Piazza Miani e Via Voltri).
Il quartiere, per via della presenza del deposito carburanti Victoria (a ridosso della Chiesa S. Nazario e Celsio) , divenne oggetto di pesantissimi bombardamenti che non risparmiarono nemmeno abitazioni civili e non mancaro le vittime di guerra (come avvenne in altri quartieri di Milano, i bombardieri Angloamericani, in varie occasioni, selezionavano volontariamente (su coordinamento della divisione RAF Bomber Command) obbiettivi civili per spingere la popolazione alla ribellione contro il Regime Fascista e successivamente contro la Repubblica Sociale Italiana (nulla però impediva a queste divisioni aeree militari di rispettare i diritti internazionali da loro stesse sottoscritti e mirare solo su obbiettivi strategici come caserme e industrie, risparmiando abitazioni civili, chiese e scuole). La cascina Foppette (confinante con il Rione San Cristoforo) fu uno dei vari “target” civili, insieme ad altri edicifici nel cuore della Barona.
In giro per il quartiere si annoverano circa 30 lapidi in memoria delle vittime della Resistenza Partigiana
A dimostrazione, nel 1999, in occasione della costruzione di un Residence per gli studenti dello IULM, venne ritrovata una bomba della II° guerra mondiale (bombardieri angloamericani) che impose, nel mese di Settembre dello stesso anno, un piano di evacuazione (prima nella storia di Milano per l’estensione e il numero di residenti coinvolti) di quasi un intero quartiere ex zona 16 e di parte della limitrofa ex Zona 5 Ticinese (necessario per fare brillare l’ordigno prima della sua rimozione).
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Link documentale di collegamento all’ ANPI Barona, testimonianze drammatiche resistenza dei Partigiani nel territorio (e limitrofi) della Barona, durante il periodo bellicom(1940-44).
https://anpibarona.blogspot.it/
ANPI BARONA, Lapidi Partigiane:
La lapide posta sul monumento al centro di Piazza Miani è stata distrutta in data 12/01/2008 è stata ripristinata il 25/04/2008.
-Lapide Via Voltri 4.
Nato il 3/09/1922
Caduto in combattimento la notte del 26 aprile 1945Durante un rastrellamento nazi/fascista presso la Stazione ferroviaria di San Cristoforo. Appartenuto alla 4° Divisione Garibaldi 113 Bis. SAP.
-Lapide Via Voltri angolo Via Ovada
Prelevato dal suo domicilio la sera del 15 Novembre 1944 con l’accusa di attività sovversiva, dopo un processo sommario veniva portato nei pressi di Via Lorenteggio e fucilato il 16 novembre 1944. Appartenente alla 4° Divisione Garibaldi
Nato a Napoli il 14/03/1889
Deportato nel campo di concentramento di Dachau, dove moriva il 06/02/1945. Appartenuto alla brigata volante “Aldo Oliva” ed al Distaccamento Autonomo “Brigata Ticino”.
-Lapide Piazza Miani 2
Nato a Milano il 20/09/1909 Sergente del 317^ REGGIMENTO FANTERIA “ACQUI”
Catturato e fucilato da truppe tedesche sull’ Isola Di Cefalonia. Grecia.
-Lapide Viale Faenza 1
Nato a Milano il 15/03/1903. Arrestato il 15/11/1944 per attività sovversiva
Veniva fucilato nelle vicinanze di Piazza Vesuvio il 16/11/1944
Appartenuto alla 4° divisione Garibaldi
-Lapide Viale Faenza 3
Nato a Trani 26/10/1898. Iscritto al partito comunista collaborò attivamente con i partigiani della 113° brigata “Garibaldi”. Fu arrestato il 31 luglio in casa insieme al figlio Eugenio, che era sfuggito ai nazifascisti per non andare a combattere sotto le insegne della Repubblica Sociale e che verrà deportato a Dachau. Fucilato a Piazzale Loreto il 10/08/1944.
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Nato a Milano 14/09/1927
Caduto in combattimento la notte del 25 aprile 1945 in località Ronchetto del Naviglio le tentativo di fermare l’accesso in città ad una autocolonna Nazista. Insignito della Medaglia di Bronzo per attività Partigiana, appartenuto alla 113 Brigata Garibaldi. Dipendente delle Officine Tallero che cadde combattendo nella zona del Naviglio Grande, “Luigi Maradini, comandante della 113ª brigata Garibaldi Sap, ordina il blocco della nazionale per Alessandria all’altezza di Ronchetto sul Naviglio: una sessantina di garibaldini con solo 5 mitra, dieci moschetti, una decina di bombe a mano e «numerosissime rivoltelle non completamente cariche». Sopraggiunge, puntando sulla città, una forte autocolonna tedesca che viene investita da lancio di bombe a mano e raffiche di mitra. Ne nasce un violento scontro che si protrae per un’ora finché, esaurite le munizioni, i partigiani devono ritirarsi. Anche la colonna germanica fa marcia indietro dirigendo verso Corsico e poi verso Baggio. I tedeschi lasciano sul terreno diversi morti tra cui due ufficiali. Nel combattimento sono caduti i garibaldini Domenico Bernori, Idelio Fantoni e Giovanni Paghini”.
-Lapide Viale Famagosta 4
Nato a Milano il 26/06/1894
Arrestato per attività sovversiva e deportato in Austria nel campo di concentramento di Mathausen dove moriva il 22 aprile 1945.
-Lapide Via Lago di Nemi 4
Nato a Milano il 20/10/1910
Catturato e deportato in Germania riusciva a fuggire e raggiungere Milano, dove riprendeva la lotta partigiana, morendo poi in combattimento il 27 aprile 1945 durante un rastrellamento nazi/fascista all’interno dello stabilimento F.I.U.M. di Viale Cassala 47. Appartenuto alle squadre S.A.P. 4° Divisione Garibaldi.
-Lapide Via Barona 27
Nato a Gaggiano l’ 8/07/1913
Colpito gravemente in combattimento moriva il 27/04/1945 per le ferite riportate. Appartenuto al Distaccamento Autonomo “Brigata Ticino”.
-Lapide Via Bardolino 30
Milano Barona – Via Bardolino 30.
Nato a Milano il 9/08/1926
Cominciò a frequentare amicizie partigiane e antifasciste nel Lodigiano dal 1944 per poi unirsi alle formazioni combattenti (166°Brigata). Il 26 aprile 1945 con circa venti compagni cerco di fermare una colonna tedesca che fuggiva verso la Svizzera; catturato durante il combattimento, fu fucilato nei pressi di Lodi vecchio, frazione San Bernardo. (Lapide commemorativa in Viale Piacenza 10. Lodi)
E sepolto al cimitero Maggiore di Milano nel Campo della Gloria.
-Lapide Via Watt 1 angolo Via Binda
nato a Milano il 17/05/1900
Arrestato per attività antifascista veniva prima arrestato e poi fucilato in Via VCermenate nella notte tra il 15 e il 16/11/1944. Operaio Comunista della Cardex, combattente S.A.P. 113° Garibaldi
-Lapide Via Ciani 5
nato a Rodigo (Mn) il 11/07/1901
Caduto in combattimento in Val Traona (Sondrio) il 01/10/1944. Combattente nella 113° Garibaldi e alla Brigata Matteotti Val Traona col nome di battagli “Orfeo”.
-Lapide Via Lodovico il Moro 135
Negri Pietro nato a Buccinasco il 27/03/1916
Morneghini Vittorio nato a Milano 05/06/1922
Milano Barona.
I fratelli Negri venivano arrestati nel dicembre del 1943 in Cascina Beldiletto dove abitavano con l’accusa di occultare armi e munizioni e venivano deportatia in Germania al campo di concentramento di Mathausen dove Giovanni moriva il 03/05/1945 e Pietro il 05/10/1944, tutti e due appartenevano alla 113° Brigata Garibaldi.
Morneghini Vittorio veniva arrestato il 04/08/1944 e subito deportato nel campo di concentramento di Mathausen dove decedeva il 01/04/1945. S.A.P. 113° Garibaldi
-Lapide Via Lodovico il Moro 135
Migliavacca Francesco nato a Buccinasco il 04/12/1924 arrestato dai fascisti e seviziato veniva trucidato il 08/04/1945. Apparteneva alla 113° Garibaldi col nome di battaglia “Giulio”
Paschini Luciano nato a Milano il 27/07/1945 arrestato con Esposito (lapide Viale Faenza 3) torturato e ucciso in Via Giambellino nella notte del 08/04/1945. 113° S.A.P. Garibaldi.
-Lapide Via Moncucco 30
Bossi Luigi nato a Milano nel 1924 in Via Chiesa Rossa 67. Arrestato per attività sovversiva vebiva deportato a Mathausen dove moriva il 28/04/1945
Lapide andata distrutta con l’abbattimento dello stabile.
– Lapide Via Moncucco 27
fucilato dalla Muti in Via Mozart il 22/12/1944 combattente nella Brigata Torino.
Lapide inagibile stabile in rovina.
-sede ANPI Barona
cooperativa Barona E.Satta.
Via Modica 10. 20143 Milano
anpibarona@fastwebnet.it (anpibarona@fastwebnet.it)
http://anpibarona.blogspot.com/
-Lapide Ripa di Porta Ticinese 63
Nato a Milano 11 febbraio 1904. Operaio, partigiano e magaziniere della Divisione “Aliotta”; quì abito; ferito gravemente nelle vicinanze di Capannette di Cosola (Alessandria) da rastrellatori nazifascisti il 14 dicembre 1944, decedeva poco dopo nei pressi di Zerba (Piacenza). Anche la lapide, posta a Milano, in via dei Mercanti, sull’antico Palazzo della Ragione, ricorda il suo sacrificio.
-Lapide Via E.Stendhal 30
Nato a Milano il 22/02/1904
Patriota Comunista Garibaldino, ucciso dai fascisti alla vigilia della insurrezione il 24/04/1945.
-Lapide Via Bergognone angolo Via Tortona
Membri dell’Organizzazione Franchi, una rete di spionaggio che collaborava con l’Intelligence Service britannico; vennero fucilati dai fascisti davanti alla fabbrica C.G.E. nel giorno della liberazione per intimidire gli operai in sciopero e pronti ad insorgere contro le ultime oppressioni del regime.
“25 aprile 1945, ore 14.00 circa, via Bergognone angolo Via Tortona. Militi fascisti per intimorire gli scioperanti della Cge, arrivano improvvisamente davanti alla fabbrica e fucilano Enrico Torchio e Umberto Retta, appartenenti all’Organizzazione Franchi. Dal edificio, nel tentativo di impedire l’esecuzione, viene lanciata una bomba a mano che però non esplode. Informato dell’accaduto, Sandro Pertini vi si reca e tiene un comizio alle maestranze.
-Lapide Piazza Tirana angolo via Segneri (Giambellino)
-Lapide all’interno atrio di Via Bergognone 30
Lapide con dodici nominativi.
-Lapide Via Degli Olivetani 4
Nel 1942 a Milano fu tra i promotori delle riunioni clandestine che dettero poi luogo alla fondazione del Movimento di Unità Proletaria, sotto la guida principalmente di Lelio Basso, Roberto Veratti, Domenico Viotto, Lucio Luzzatto, Corrado Bonfantini. Dopo la morte di Roberto Veratti fu Ottaviano Pieraccini a ereditarne le responsabilità e la presenza polìtica: «Ovunque presente: nel Comitato di Liberazione dell’Alta Italia, nell’esecutivo del Partito, nella preparazione difficile e rischiosissima della stampa clandestina. Organizzatore ed animatore dello sciopero del marzo, quello che rimarrà la più eroica manifestazione di forza e di volontà del proletariato italiano nel periodo del terrore nazifascista ». (dal Corriere d’informazione del 16.2.1946).
Il 1° marzo 1944 Ottaviano fu catturato a Milano, tradotto nel carcere di San Vittore e da qui a Fossoli, a Bolzano e infine in Germania, nel lager di Mauthausen, dove giunse il 4 agosto.
Trasferito nel campo di eliminazione di Gusen, Ottaviano, per quanto gracile di salute, venne impiegato in una cava di pietra a trasportare massi ed alla fine di settembre si ammalò di polmonite. Grazie all’assistenza prodigatagli dai compagni di prigionia riuscì a superare la crisi, ma in dicembre fu nuovamente costretto al lavoro in un’officina. Qui le sue condizioni fisiche si aggravarono e nel marzo 1945, quasi agonizzante, fu riportato a Mauthausen dove si spense pochi giorni dopo l’arrivo.
-Lapide Via E. Stendhal 30
il 4/02/1945
PARTIGIANO IMMOLAVA LA SUA
GIOVINE VITA PER UNA PATRIA
PIÙ GIUSTA E PIÙ LIBERA
(tratto da L.Calzamiglia, Chiusavecchia – cenni storici e artistici, Dominici Editore 1999): “Insieme ad altri tre apparteneva ad una squadra partigiana della I brigata garibaldina. Vennero catturati durante un rastrellamento delle truppe nazifasciste nella zona di Diano S.Pietro”.
-Lapide Via Segneri 8 (Giambellino)
che la fiorente giovinezza offerse in eroico sacrificio alla causa della Libertà
Milano. 25 -11- 1923.
Mauthausen. 19 – 4 – 1945.Elettricista. Deportato da Bolzano il 1\2\1945
deceduto a Mauthausen Gusen 19\26 – 4 -1945.
-Lapide Via degli Apuli 2
Qui abitò MANZONI EUGENIO che alla causa della libertà fece dono della vita.
Milano. 14 gennaio 1921 Partigiano 86° Brigata Giorgio Issel – Caduto il 27-06-44 in Val Taleggio.
-Lapide Via Villoresi 24 (Ticinese)
Breve viaggio nel tempo nei siti limitrofi alla Barona (Baia del Re-Stadera Chiesa Rossa-Naviglio Pavese)
Una brevissima galleria di immagini del plesso popolare Quartiere Stadera, costruito nel ventennio fascista intorno alla metà degli anni ’20, ove ospitare ceti sociali disagiati provenienti dal centro storico di Milano e qualche immigrato meridionale.
Le immagini sono state riprese nel 1945 dal fotografo Patellani.
Lo scenario (lavatoi, cucine di alloggi popolari e il ritratto femminile di una donna) è assimilabile a contesti analoghi del confinante quartiere Barona (Barona e Stadera condividono i confini del Naviglio Pavese) (immagini tratte da Lombardia Beni Culturali).
Come sovente verificatosi nei complessi di edilizia popolare, nati durante il ventennio fascista e anche successivamente, sino agli anni ’70, l’incuria amministrativa comunale di innumerevoli giunte, le incurie amministrative regionali degli ultimi anni ALER, problemi sociali, di immigrazione problematica, italiana prima (anni ’60-’80) e straniera dopo (anni ’90 oggi), hanno reso questo quartiere, come il Giambellino, un crogiolo, un coacervo di problemi, drammi, incuria, abbandono e degrado che ne ha seppellito la storia nel corso degli ultimi decenni.
Barona nel dopoguerra e Boom Economico sino ai primi anni ’70
Sino ai primi anni dell’immediato dopoguerra (dal 1952 circa), l’espansione edilizia ed anche “piccolo industriale” del quartiere (non ancora delimitato nella futura zona 16) era molto limitata a gruppi di case di ringhiera e plessi popolari che costeggiavano le Vie Pestalozzi, Andrea Ponti, Franco Tosi, Ambrogio Binda, Via Watt sino alle intersezioni con Via Zumbini, proseguendo lungo la Via Biella e terminando nella neo Piazza Miani (sino al 1944 circa, Piazza Predappio), N. 1 di Via Ovada, Viale Famagosta 2, Viale Faenza 1 e 3.
https://www.youtube.com/embed/_Br8Lv9znn4
Fontana (ex) di Piazzale delle Milizie-Alzaia Naviglio Grande (Convergenza quartieri Ticinese e Barona San Cristoforo)
Solamente dopo il 1953 prese un avvio un deciso sviluppo edizilio residenziale lungo le vie sopra elencate, tra le quali anche la Via Santa Rita da Cascia e la Via Ettore Ponti (tra Via Binda e Via S. Rita).
Nell’immediato dopoguerra la Barona era soprattutto campagna e poderi/latifondi cascinali di notevole estensione e monopadronali (che sembrano essere stati all’origine di una duratura vocazione agricola del quartiere anche nei decenni successivi al dopoguerra).
Nel dopoguerra Milano non aveva ripartizioni zonali. La Barona era “storicamente” limitata nei confini con la sponda Nord del Naviglio Grande (confini settentrionali lungo la linea ferroviaria Milano Mortara), la ex cintura ferroviaria SUD (vie Schievano, Viali Cassala, Liguria), sponda Ovest Naviglio Pavese-Alzaia Naviglio Pavese (confini orientali), confini territoriali sud ed ovest con Assago, Buccinasco e Corsico (oggi, parte del territorio storico della Barona sconfina del Parco Agricolo Sud Milano, che si estende dai confini di Rho sino a lambire la Brianza…con Gorgonzola…).
Buona parte del territorio storico della Barona è pertanto, tutt’oggi ad uso agricolo (Parco Sud Milano), con alcune realtà zootecniche (oggi sopravvissute nelle Cascine Battivacco) e diverse coltivazioni di riso e risaie, che da decenni costeggiano i Quartieri Sant’Ambrogio 1 e 2 sino al Ronchetto.
La zona, nell’immediato dopoguerra e sino ad oltre la metà degli anni ’70, si classificava come estrema periferia. Era penalizzata (a livello veicolare-automobilistico) dalla presenza di due navigli navigabili (il Grande e il Pavese) che rappresentavano però barriere per i collegamenti con i quartieri Chiesa Rossa e Giambellino e che richiedevano la realizzazione di ponti (come già avveniva per Piazzale delle Milizie e gli ex ponti ferroviari, convertiti in automobilistici).
Non è dato sapere per quali motivi, negli anni dell’immediato dopoguerra si scelse il progetto dei cavalcavia Schiavoni al posto dei ponti a livello stradale come avvenne, per esempio, nell’intersezione Viale Liguria/Tibaldi con il Naviglio Pavese (Ascanio Sforza/Via Chiesa Rossa e Alzaia Naviglio Pavese).
Tale soluzione poteva semplificare e velocizzare la realizzazione dei collegamenti che isolarono la Barona, sino ai primissi anni 60 (il primo collegamento era la Via Spezia e il Cav. Schiavoni). Forse la scelta del sovrappasso veicolare era dovuta alla evidente complicazione del futuro traffico automobilistico che si intersecava lungo direttrici tramviarie e automobilistiche già trafficate come lo erano la Via Ascanio Sforza/Via Chiesa Rossa e la Via Lodovico il Moro (Naviglio Grande).
Queste opere vennero quindi realizzate solo tra gli anni ’60 e ’70 del 1900 (1957-60 Cavalcavia Schiavoni e 1968-77 Cavalcavia Don Lorenzo Milani).
Dalla metà degli anni ’50, il capolinea del tram 12 venne prolungato verso Piazza Miani, e nuove abitazioni di tipo civile-residenziale si realizzarono nelle Vie S. Rita da Cascia, Watt, Ambrogio Binda, Biella, Famagosta, Ettore Ponti e Viale Faenza, (mentre per la Via Teramo prevalse l’edilizia popopolare), come anche Piazza Miani e Via Modica e dalla fine degli anni ’50, primi ’60 anche nelle vie Rimini, Spezia e Alzaia Naviglio Pavese.
Il completamento dell’asse automobilistico Maggi-Famagosta-Faenza-Via S. Rita incentivava l’edificazione lungo queste vie e le secondarie che le intersecavano (anni ’50-’80).
Negli anni ’50 nacque la Fonderia Vedani (Via Schievano). La Vedani, nel periodo pre bellico, si trovava in Piazza Napoli e venne bombardata durante il periodo bellico per poi essere ricostruita e ampliata a ridosso della via Schievano. Altre realtà economiche erano la ditta di giocattoli e modellismo CO-MA (via Ettore Ponti 12)
CO-MA Milano (Barona) Via Ettore Ponti 12 (1950-1989) giocattoli e aeromodellismo
la COPRA (via Ettore Ponti) e varie altre, tra cui la Esperis in Via A. Binda (questa tutt’ora esistente) e la Berkel di Via Olgiati.
L’handicap del dopoguerra di questo quartiere era rappresentato dal suo isolamento veicolare con il resto della città (si accedeva solo dalle strettissime Vie Schievano, Pestalozzi/Andrea Ponti, Moncucco, e Richard che sino alla fine degli anni ’60, prima dell’inizio lavori del cavalcavia Don Milani, era una strettisima via periferica).
L’asse automobilistico che tra la metà degli anni ’50 sino alla fine degli anni ’60, attraversava il quartiere era rappresentato dalle Vie:
Schievano, Via Franco Tosi, Via Giacomo Watt, Via Cottolengo, Via Faraday e Via Richard.
Lungo questa direttrice (attraversata, sino a pochi anni prima, dal binario della Richard Ginori) transitavano auto e camion diretti verso le piccole realtà produttive del quartiere e verso Corsico. Solo intorno alla metà degli anni ’60 venne completato l’asse Viale Famagosta e realizzato il collegamento della Via Ettore Ponti (inesistente sino al 1966 circa nella tratta Schievano-Ambrogio Binda) che “rivoluzionava” la ripartizione del flusso automobilistico nel quartiere. Le Via Franco Tosi divenne a senso unico, come a senso unico anche le Vie Pestalozzi (nel tratto Lodovico il Moro – Brugnatelli) e Via Andrea Ponti.
Nel 1965 venne inaugurato il quartiere (edilizia popolare, Comune/IACP) Sant’ Ambrogio 1 (alcuni anni dopo, il S. Ambrogio venne esteso nel settore 2 lungo la Via De Pretis).
Oggi viene de-qualificato come un esempio di architettura urbanistica da non adottare. 51 anni fa, tuttavia, Milano aveva emergenze abitative e un flusso migratorio che ne incrementava la popolazione di 100.000 unità annuali … e questo richiese la realizzazione di aree di residenza popolare nelle periferie…
In Barona, i Quartieri Sant’Ambrogio 1 e 2 non furono, comunque, esempi di degrado del territorio. Questo invece avvenne intorno alla metà degli anni ’70, in altri lotti (Lope de Vega e Tre Castelli), come di seguito descritto.
Nello stesso periodo si completavano i quartieri Spezia e Torretta.
L’apertura di questo quartiere, insieme ad altri complessi popolari e condominiali realizzati nel quadrilatero compreso tra Via Ludovico il Moro, Via S. Rita da Cascia, Viale Famagosta e limitrofe, mise a dura prova la limitatezza (in termini di copertura nel quartiere e di capienza) delle linee tramviarie 12-19 che limitavano la copertura alla parte storica del quartiere (Pestalozzi-Binda-Watt tra i rioni San Cristoforo e Piazza Miani).
La costruzione dei quartieri “satellite”, come il S. Ambrogio 1 e 2, avvenne (come anche la realizzazione di altri complessi residenziali come il “Torretta-Spezia” del Piano Regolatore “Montini”) senza il rispetto dei vincoli storici di numerose cascine presenti dove oggi sorgerebbe il quartiere da oltre mezzo secolo e dove sorgerebbe l’ingresso dell’autostrada Milano Genova, cosi come della stazione M2. Molte altre cascine ubicate in Barona zona vennero demolite.
Anche altrove, all’interno del quartiere, tra gli anni ’60 sino al primo decennio degli anni ‘2000 dei cascinali vennero demoliti (tra i vari, la Cascina Beldiletto da cui la omonima via) o dolosamente incendiati per ottenere lotti dove realizzare speculazioni edilizie (Via Walter Tobagi intorno al 2005).
Verso quel periodo (anni ’60) vennero istituite linee “navetta” che collegavano i q.ri S. Ambrogio e Via Teramo con il tram 12 in Piazza Miani.
La Barona, sin dalla metà degli anni ’60, doveva beneficiare del completamento dell’anello di Seconda Circonvallazione Esterna (negli anni ’60 la circonvallazione compresa tra Piazzale Lotto e Viale Isonzo, dove transita la filovia 90/91, era al collasso), nuovo anello veicolare periferico che tuttavia, versava incompleto rispetto ai piani regolatori del periodo. Il secondo anello di circonvallazione esterna attraversava da anni (incompleto) il quartiere ed era costituito dalle Via. S. Rita da Cascia verso il Ponte Don Lorenzo Milani e Piazza Frattini/Bande Nere, V.Le Famagosta verso Piazza Maggi e Viale Cermenate.
Avvennero quindi, notevoli ritardi nel completamento del Piano Regolatore che risaliva addirittura ai primi anni del 1900 e che causava molti disguidi nelle cartografie di Milano, dove sin dalla metà degli anni ’30, comparivano assi stradali completi e collegati come Via S. Rita e Viale Famagosta… mentre in realtà, per entrambi, i tracciati esistevano solo in parte, sterrati e incompleti e interrotti dai Navigli.
Nel 1960 venne completata (con evidenti concorsi di fondi Ministeriali) solo la direttrice di ingresso all’autostrada Milano Genova A7 con le vie Spezia, Piazza Maggi e Via del Mare e la realizzazione del Cavalcavia Schiavoni (sopra il Naviglio Pavese a collegamento del Viale Cermenate).
Solo dopo il 1966 venne completata la direttrice di Viale Famagosta (e la parallela Via Ovada).
Il completamento della rete veicolare e degli insediamenti residenziali popolari e privati a ridosso dell’ingresso della A7 Milano Genova e nella costruenda Viale Famagosta venne “coronato”, nei primi anni ’70 con la realizzazione del Palazzo Savoia Assicurazioni (stile sobrio e razionale, progettato dall’architetto e designer Gio’ Ponti, che decenni prima progetto’ il grattacielo Pirelli). Si aggiunse, poi, il “Palazzo della Coop” in Viale Famagosta 75 (che a cavallo degli anni ’70 ed ’80 ospitava uffici e studi di “Radio Milano Ticinese”, gestita dalla famiglia del comico Gino Bramieri. (le uniche aree di terziario sorte in Barona sino al 1984, anno in cui presero avvio i lavori in Viale Richard per le Torri Ligresti).
…Rimaneva tuttavia incompleto il cavalcavia Don Lorenzo Milani che doveva collegare il Giambellino con la Barona.
L’opera venne interrotta nel 1972 per mancanza di fondi e solo 5 anni dopo venne completata. Il suo completamento mise ordine a diverse vie di competenza comunale ancora sterrate, tra queste le Vie Portaluppi, Via Bari e il completamento del collegamento Viale Faenza-Piazza Negrelli (negli anni 70 era in progetto un secondo cavalcavia che da Negrelli doveva immettersi nel Largo Gelsomini… progetto poi abbandonato).
Il Comune di Milano, preferiva fissare priorità per il Centro Storico e i quartieri direzionali e principalmente per i quartieri serviti dalle nuove linee delle metropolitane M1 e M2 e per la progressiva conversione delle linee tramviare da trolley a pantografo… mentre alcune periferie restavano escluse da svariate infrastrutture e servizi già in progetto.
La Barona, venne parzialmente integrata con la cintura periferica sud e con la stazione Ferrovie di Stato di Rogoredo, solo al completamento del Viale Famagosta verso Piazza Maggi, tramite il prolungamento della linea filoviaria 95, prolungata da Piazza Chiaradia (Vigentino-Ripamonti) sino a Via Modica-Piazza Miani- Questa integrazione avvenne solo dal 1967 (nei progetti, invece, doveva essere già operativa l’intera linea filoviaria, sino a Piazza Axum, già da quell’anno, quindi anche il Cavalcavia Don Milani rientrava in un progetto poi penalizzato da un decennio di ritardi…).
(Per la filovia 95 venne anche creato un secondo capolinea in Piazza Miani, che si affiancava a quello di Via Modica per alcune corse).
La linea filoviaria 95, dal 1967 prolungata dal capolinea di Piazza Chiaradia al Vigentino sino a ridosso della Piazza Miani-Via S.Rita da Cascia (Via Modica), vide un’esistenza molto breve. Immediatamente dopo l’apertura, nell’Aprile 1977, del nuovo Cavalcavia Don Lorenzo Milani, una linea sostitutiva definitiva di autobus soppianto’ la preecedente linea elettrificata che venne dismessa intorno al Settembre 1977 per non essere mai piu’ ripristinata. La nuova linea bus 95 (Rogoredo FS, Piazza Axum Stadio Meazza) conservo’ il tracciato sino agli anni ’90, per essere deviata nel capolinea di Piazzale Lotto. Dal 26 Aprile 2015, la tratta 95 venne spezzettata in due linee distinte. La vecchia numerazione conserva il capolinea storico di Rogoredo FS-M3 per terminare in Barona, Via Pepere, mentre il tratto Via S. Rita da Cascia/Tobagi-Lotto è stato sostituito dalla 98 (Famagosta M2) sino a Piazzale Lotto M1.
A cavallo della fine degli anni ’60, una riforma tramviaria molto filo petrolifera, approvata e varata dalla giunta di Milano nel Giugno 1970, prevedeva la soppressione di varie linee tramviarie della rete milanese, tra queste, anche il tram 12, nella tratta Cordusio-Piazza Miani.
In realtà la linea 12 poteva essere prolungata lungo Viale Famagosta (sfruttando gli ampi spartitraffici del Viale, come avvenne molti decenni prima per Viale Zara) e diramarsi anche all’interno del Q.re S. Ambrogio. I progetti urbanistici degli anni ’60 e ’70, tuttavia, consideravano gli autobus come unico mezzo di trasporto economico e autonomo rispetto a vincoli infrastrutturali come linee elettriche e binari…
Pochi mesi prima della dismissione del 12 (tra il centro di Milano e la Barona), vennero istituite due nuove linee di bus (74 Piazza Duomo, Q.re Sant’Ambrogio e 76 Piazza Duomo, Via Teramo) che andavano a coprire quartieri non raggiunti dalla linea 12.
Intorno al Giugno 1972 il tram 12 venne soppresso dopo un brevissimo periodo di convivenza con queste linee.
Video in Super 8 (Maggio 1973) di alcune riprese del Quartiere Barona-Sant’Ambrogio I° (Via San Vigilio con la Cascina Monterobbio, l’ intersezione Viale Famagosta e il suo prolungamento sino aPiazza Maggi e Quartiere Spezia, Via S.Paolini 18, nuovo centro civico e Biblioteca).Nel filimino Super8 anche il passaggio dell’autobus 74 (un modello a Gasolio, FIAT 411 recentemente resaurato nel suo verde ministeriale originale… ma all’epoca, nei primi anni ’70, ricolorato in arancione ministeriale).
La Cascina Monterobbio oggi (l’unica sopravvissuta al Piano Regolatore Q.Ri Torretta, S. Ambrogio 1).
La linea tramviaria rimase intatta anche se non più utilizzata sino al Maggio 1977. Un collaudo di verifica (condotto in tale mese), vide il transito (l’ultimo per tale tratta) di una vettura sabbiera scortata da una pattuglia dei vigili nel tratto Via Pestalozzi Piazza Miani.
La linea di alimentazione elettrica aerea venne definitivamente rimossa intorno al 1978/79.
I binari restarono parte integrante della pavimentazione stradale sino al Settembre 1989, quando la tratta Pestalozzi-Binda-Biella venne asfaltata per intero.
Barona anni ’70
(i fatti e le immagini di terrorismo PAC-BR e mafia avvenuti nel quartiere Barona negli anni 1979-80 e 98 sono pubblicati nella sezione dedicata al Moncucco, disponibile oltre questa sezione)
Mentre perduravano ritardi per i collegamenti infrastrutturali ATM e automobilistici del quartiere, il medesimo divenne oggetto di speculazioni edilizie.
Negli anni 1975 e 1976 vennero realizzati quartieri dormitorio a ridosso della Via Moncucco/Santander attuali (complesso di Via Lope de Vega) ed a ridosso di Piazza Negrelli/Parenzo verso il Ronchetto (complesso Tre Castelli).
Durante l’ultimazione del complesso di Via Lope de Vega / Famagosta (1974) un comitato inquilini di famiglie senza fissa dimora occupo’ in segno di protesta i palazzi.
Quella che era un’azione legittima (purtroppo strumentalizzata, come sempre avviene, da ambienti politici parlamentari nelle varie sezioni locali), considerata l’emergenza abitativa di quegli anni (oggi la situazione è infinitamente piu’ drammatica di allora…), divenne poi, dopo gli sgomberi forzati successivi, un destino infelice di questo complesso, da oltre 40 anni , segnato dal degrado.
Un rapidissimo degrado della Barona avvenne con la realizzazione di questi complessi enormi, mal costruiti, mal concepiti, in buona parte occupati abusivamente ancor prima di essere ultimati, privi di infrastrutture socio culturali, aree commerciali, linee pubbliche di collegamento e persino scuole ( il complesso Tre Castelli beneficio’ di un piccolo centro commerciale solo a partire dall’Agosto 1991).
La popolazione del quartiere cresceva (a cavallo degli anni ’50 e ’70) e due nuove scuole medie vennero realizzate in Via Salerno (che comprendeva anche una elementare, verso la metà degli anni ’60) e in Via F. Tosi (scuola Media Gramsci) nel 1976/77.
Dall’Aprile 1977, dopo quasi 10 anni di ritardo, venne anche completato e aperto al traffico il Cavalcavia Don Lorenzo Milani (il quartiere non era più isolato con il resto della Milano situata oltre il Naviglio Grande) che trasformo’ rapidamente le Vie S.Rita e Viale Famagosta in tangenziali cittadine intermedie che permettevano un alleggerimento del traffico automobilistico e camionale della circonvallazione di Viale Liguria, Cassala e Troya) dove negli anni successivi si impose una semaforizzazione obbligatoria a causa della pericolosità dei loro incroci e della frequenza di incidenti, anche mortali.
Sempre nel Giugno 1977, con il riassetto della rete automobilistica della Barona, anche la rete di autobus, venne riprogrammata e parte della Via Binda Ambrogio venne abbandonata dai percorsi dei bus 74 e 76 che deviarono per le vie Watt e Ettore Ponti.
Anche la filovia 95 venne soppressa e soppiantata da una linea d’autobus che si estendeva sino allo stadio di S. Siro.
Progressivamente i capolinea dei bus sostitutivi al tram 12 arretravano dalla Piazza Duomo per deviare verso la Stazione M2 Cadorna per il bus 74 e Via Celestino IV per l’autobus 76 (zona Carrobbio).
Brevi visioni dal Ticinese-Porta Genova, anni ’70
Un po’ di risate e di satira (apparentemente, ma solo in apparenza, del tutto fuori tema rispetto alla storia di Milano e quartieri) e di sane riflessioni (parodie della Wertmüller sulla “Brutta bottana industriale e socialdemocratica” milanese, ergo uno stereotipo anni ’70 della “sciura” sposa mantenuta di un industriale potente del nord Italia e soprattutto del milanese, nelle vesti di una Mariangela Melato intenta nell’interpretare una donna dai facili costumi, impersonificata in una immaginaria Raffaella Pavone Lanzetti, benestante e cinica, quanto sofisticata borghese anticomunista milanese, un controverso personaggio che la Melato, compianta attrice ed interpete, 1941-2013, interpreto’ nel 1974 nello scenario della Sardegna Orientale) ed un rozzo marinaio siciliano … improbabile comunista (troppo colto per rappresentarne una parodia realistica…,con l’ossessione delle “zizze de fuori”), interpretato dal ligure spezzino Giancarlo Giannini. Un successo cinematografico (una mezza verita’, indiscutibile…e attualissima, un’altra mezza di pura fantasia cine…) sulla questione meridionale machista e siciliana e sulle condotte becere di una certa cattiva borghesia lombarda… I due naufraghi (lei lombarda meneghina, lui siciliano) alla fine si vedono vincolati da una patologica dipendenza affettiva sado masochista che sa di “Sindrome di Stoccolma” reciproca, basata sulle violenze (anche carnali) di lui e sulle prevaricazioni psicologiche di lei (forte del “rango sociale superiore” alla quale apparteneva).. un legame distruttivo talmente forte da vincolarli , potenzialmente a vita ed in maniera quasi indissolubile, in una insostituibile vita indigena (fatta di pesca apneica alla caccia di aragoste e pesci) nell’isola deserta di un profondo Mediterraneo in cui naufragarono prima di essere tratti in salvo (loro malgrado).
Il Dritto ed il Rovescio della stessa medaglia di un malcostume italico di vecchia data… di una Nazione italiana MALRIUSCITA e MALGOVERNATA arretrata in entrambi gli antipodi, secondo le intepretazioni della regista “Radical Chic” Lina Wertmüller…
http://biografieonline.it/biografia-mariangela-melato
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Un interessante video documento dedicato anche al Moncucco.
La Liggera (la cosidetta “mala” della Vecchia Milano), dagli anni dell’immediato dopoguerra sino agli anni ’70 e ’80
Dalla Liggera milanese al crimine organizzato delle mafie dell’Italia meridionale.
La “mala” di Milano, tra gli anni ’30 e fine ’50, non commetteva omicidi, non si organizzava come mafia, non gestiva il narcotraffico. Milano si è sempre caratterizzata come città di forti ingiustizie sociali, che sin dall’immediato dopoguerra vedevano i ceti sociali piu’ poveri cercare un riscatto ed emulare un tentativo di salto sociale che il sistema Milano di all’ora e parte del sistema politico e sociale italiano, non concedevano e non distribuivano in tutti i settori della società. La “Liggera”, con la progressiva penetrazione nel tessuto sociale delle organizzazioni criminali siciliane, calabresi e in parte anche napoletane venne, in parte scalzata e soffocata dagli istinti paramilitari e criminali di queste nuove forme di illegalità e crimine, mentre dall’altro lato, quello che sopravviveva della vecchia Liggera, si integrava con le mafie meridionali assumendone i connotati sanguinari e criminali, in buona parte sconosciuti all’allora città di Milano. Se da un lato i navigli e le case di ringhiera che si affacciavano tra il Naviglio Grande e Corso San Gottardo erano parziale luogo di piccoli traffici di ricettazione mimetizzata alle attività artigianali e nelle merci trasportate nei barconi sino alla Darsena, la Liggera e tessuto operaio e popolare vedevano, sino agli anni ’60, una pacifica convivenza. Le immigrazioni meridionali (sovente controllate dalle mafie regionali native) e la progressiva penetrazione del crimine organizzato di certe regioni del Sud Italia, fecero assunsere ad alcuni quartieri, come anche la Barona, un volto criminale e sanguinario mai inedito.
L’esempio piu’ emblematico fu l’ex Borgo contadino del Moncucco, parte dell’ex Borgo Barona, che vide una sua storia di cascine a partire dalla storica Osteria “La Fogna”, inizialmente Cooperativa dei Martiri e reduci di Moncucco con una gestione di matrice popolare, partigiana e operaia, dove la presenza parziale della Liggera mescolata al tessuto operaio non rendeva minimamente malfamato tale sito. Dagli anni ’60, l’Osteria assunse un connotato piu’ commerciale sino a sfiorare, per quel periodo, un connotato mondano quasi esclusivo e di tendenza, anche per personaggi legati al mondo dello spettacolo e persino della musica (sembra che il gruppo musicale “Equipe 84” o i membri di tale gruppo nascente di musicisti, esordirono in questo locale suonando i primi repertori). La “leggenda” e la Storia vuole che il fondatore dell’Osteria “La Fogna” fosse un tale Meazza, dal detto “Meazza, quello che prima ride e poi s’incazza…”. Verso la seconda metà degli anni ’70 il locale venne rilevato da ambienti e personaggi molto vicini al crimine organizzato malavitoso di origine meridionale e divenne “Locanda delle Streghe”, il locale dove avvenne (nella notte tra il 2 e il 3 Novembre 1979) la nota “strage del Moncucco”, che fece 8 morti tra avventori, titolari e inservienti del ristorante e sospetti personaggi della “mala” (che poi piu’ che mala era probabilmente prossima alla mafie del narcotraffico di eroina gestito da Cosa Nostra e famiglie affiliate. La strage fu ufficialmente un regolamento di contri tra Angelo Epaminonda, siciliano di Catania, narcotraffico di eroina e prostituzione e Francis Turatello (detto Faccia d’Angelo), nato ad Asiago ma di famiglia meridionale, boss della prostituzione milanese e legami con i marsigliesi, Costa Nostra e Nuova Camorra Organizzata).
Il video dedicato al Moncucco ed alla breve storia dell’Osteria la Fogna
https://youtu.be/10P2HTCad4U?t=3246
La versione integrale
https://youtu.be/10P2HTCad4U
Ricordiamoci tutti che oggi la ‘ndrangheta e Cosa Nostra, (a Milano), non sono piu’ mafie ma lobby finanziarie, immobiliari e affaristiche integrate nei partiti politici lombardi e milanesi. Il loro salto di qualità deriva da decenni di connivenza di tali organizzazioni criminali con settori della politica, dell’imprenditoria, della magistratura e della finanza. Oggi, tali mafie hanno le mani su Milano e la dominano in tutti i suoi aspetti sociali, culturali e politici. Gli effetti sono noti e non sono mai denunciati da nessuno. Città dedita al riciclaggio, alla speculazione immobiliare, al narcotraffico piu’ fiorente d’Europa, città che non crea piu’ posti di lavoro ma li smercia come voto di scambio…. corruzione ai massimi livelli storici.
Quartiere Giambellino al capolinea ? http://www.mitomorrow.it/2017/02/03/cover-0302/
Uno strano “karma” vede nel territorio e nelle terre del Moncucco, un intreccio di destini e di cicli di vita e di morte (intrecci di impatto storico nazionale).
Negli anni ’60 del 1900 un emergente gruppo di musicisti esordienti (Equipe 84) esordiva nel locale-osteria “La Fogna” (Mulino Ceresa) in Via Moncucco.
Il gruppo, verso la meta’ degli anni ’60 sbarco’ il lunario con brani di grande successo.
La canzone (forse piu’ significativa) fu la composizione di “29 Settembre”, inciso nel 1967 (scritto dalla coppia Mogol e Battisti)
lo stesso brano venne ripreso con un remake di Lucio Battisti nel 1969
Verso il 27 Agosto 1998, notizie ANSA dispacciavano del ricovero del cantautore Lucio Battisti, nel reparto di Medicina Generale dell’Ospedale San Paolo alla Barona (distante qualche centinaio di metri dall’ex Mulino Ceresa, dove poco piu’ di 30 anni prima un anonimo gruppo musicale (Equipe 84) esordiva presso l’Osteria “La Fogna”, al 22 di Via Moncucco).
Il 9 Settembre 1998, alle ore 8 del mattino Lucio Battisti si spense nel reparto di medicina generale, pare, per un carcinona epatico.
La famiglia, nelle ultime settimane di vita di Battisti, ormai sopraffatta dagli esiti di una malattia infausta, prossima alla dipartita del cantautore, cerco’ in “estrema ratio” di attivare un “tam tam” tra amici e conoscenti dove eleggere “l’ultima spiaggia”, nel tentativo di salvare la vita di questo artista. Quest’ultima spiaggia era l’Ospedale San Paolo di Milano (Barona). (I residenti di vecchia data e gli ex residenti sanno che tale nosocomio non spicco’ mai per essere una eccellenza nel campo sanitario milanese).
Battisti si spense a poche centinaia di metri dove, negli anni ’60, un esordiente gruppo musicale (Equipe 84) sbarcava il lunario, vivacizzando le serate in un locale di tendenza (Osteria La Fogna).
Battisti si spense (quasi fosse un segno del destino) il 9 Settembre 1998, da co-autore del brano “29 Serttembre” che diede fama e popolarità all’Equipe 84 che bazzico’, negli anni ’60, anche l’Osteria della Fogna in Via Moncucco, quindi a poche centinaia di metri dal luogo dove alcuni esordienti musicisti incisero uno dei piu’ noti e famosi brani della musica italiana, “29 Settembre”, scritta proprio da Battisti e Mogol.
Le “radio libere” in Barona negli anni ’70 e ’80 del 1900
DELTA RADIO BARONA
Nel quartiere Barona, tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80, nacquero diverse “radio libere”.
La piu’ nota, piu’ famosa, forse quella che coinvolse meglio il tessuto residenziale e giovanile del quartiere fu DELTA RADIO BARONA (inizialmente nata come Radio Delta Barona).
Nata nel 1979 in Via Zumbini (inizialmente in un locale della Parrocchia S.Nazaro e Celso) da una Cooperativa cattolica milanese, radicata nel territorio della Barona.
Emittente che si attesto’, in un periodo di “Far West” radiofonico (e anche televisivo), dove vigeva l’autoassegnazione delle frequenze, sui 100,400 MegaHertz (100.4 MHz) e che vide, nella gestione della programmazione di intrattenimento quotidiana, diversi giovani residenti nel territorio, (principalmente, nel settore orientale e nord orientale del quartiere).
Verso il 1980 gli studi vennero provvisoriamente spostati all’interno di un locale di un ex stabile industriale della Via Malaga.
Dopo la seconda meta’ degli anni ’80 venne rinominata in ” Radio dei Navigli” e venne coordinata da persone che successivamente proseguirono una carriera di “management” radio e televisivo in reti e network gravitanti intorno circuiti nazionali di un certo rilievo.
Nell’autunno del 1990 la cosiddetta “Legge Mammi'” (riordino delle assegnazioni delle frequenze radiotelevisive) divenne un dispositivo anche giudiziario che permetteva a emittenti e imprenditori potenti e altolocati di rivendicare, a torto o a ragione, l’utilizzo esclusivo, nel territorio di Milano, di tale frequenza (autorizzato e assegnato dal Ministero delle Telecomunicazioni tramite decreti emessi dai tribunali locali) .
DRB chiuse pertanto i battenti intorno ai primi anni ’90.
La radio DRB rappresentava un laboratorio di creativita’ tecnica e di talento individuale sorto in un periodo in cui la parte orientale del quartiere stava affrontando (anche per effetto di lottizzazioni infelici di edilizia popolare) condizioni di rapido degrado e disagio sociale.
Radio tecnicamente e artisticamente rilevante che pero’, in virtu’ degli scarsi fondi disponibili e di investimenti pubblicitari non sempre presenti, vide la sua fine per effetto della Legge Mammi’.
Potenzialmente l’emittente DRB, soprattutto negli ultimi anni di produzione, era gravitante intorno al mondo della Diocesi meneghina e della Curia (alcuni operatori dell’emittente divennero conduttori del network televisivo associato, TeleNova, tutt’oggi esistente).
L’emittente radiofonica non venne, quindi, presa nella dovuta considerazione e rinacque solo come web radio molti anni dopo il suo ufficiale oscuramento.
Rinacque, quindi, come “WeRadio” a partire dal 2007.
In Barona l’elenco delle emittenti radiofoniche non si limitava a DRB.
Pare che intorno al 1980, in Via Ambrogio Binda 11, un privato, dalla propria abitazione, irradio’ i programmi di “Radio Luna”.
In realta’ non è del tutto chiaro se questa emittente radiofonica fu la stessa che negli anni ’80 fondo’ dalla preesistente “Stereo due” la New Radio Corporation che diede poi vita a “Radio Luna” sugli 88,5 MHz (nel periodo in esame non erano rare e infrequenti le omonimie).
Prima di citare la Radio “libera” che a cavallo degli anni ’70 ed ’80 primeggiava in indici di ascolto e gradimento (Radio Milano Ticinese RMT) una nota di merito spetterebbe a Radio Spazio Milano
Radio Spazio Milano
Nata a Milano-Barona, Via Bari 24/A (102,400 MHz) nel lontano 1978, probabilmente su iniziali frequenze non autorizzate dal Ministero delle Telecomunicazioni, questa emittente (pare raccolse molto gradimento verso una iniziale utenza di casalinghe residenti nel quartiere) riusci’ a mantenere e diffondere il proprio palinsesto radiofonico praticamente in tutta la Citta’ di Milano e Provincia sino alla fine del 1998, per circa 20 anni.
Negli anni ’80, nei condomini di Via Bari 24 svettava un antennone che venne poi rimosso verso i primi anni ’90 (il segnale venne successivamente inviato verso altre antenne dislocate in localita’ differenti tramite doppino telefonico).
Una nota cronologica spetterebbe anche a Radio Evangelo :
sorta in un appartamento del condominio di Via Ambrogio Binda 3/A intorno al 1978 con tanto di antennone marconiano installato sul tetto dello stabile.
L’ingombro dell’antenna trasmettitore, i disturbi agli impianti radio e tv domestici posti nelle vicinanze, costrinsero i gestori privati a rimuovere l’antenna intorno al 1980 e con essa anche lo studio di trasmissione inizialmente allestito all’interno din un appartamento.
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88,650 MHz
Come da locandina e logo, questa emittente, rispetto alle altre presenti nel quartiere, negli anni compresi tra il 1976 e il 1980, fece la parte del leone in termini di qualita’ professionale di programmazione e indici di ascolto a livello regionale (il segnale raggiungeva anche il Piemonte e la Svizzera Italiana).
Studi e antenna (inizialmente l’antenna) erano operativi in Viale Famagosta 75 (Palazzo delle COOP).
Il figlio del noto comico e attore cinetelevisivo Gino Bramieri (Cesare Bramieri) fu uno dei co-fondatori dell’emittente radiofonica, che arrivo’ a coprire quasi interamente la Regione Lombardia con il suo segnale.
Le iniziali societa’ registrate presso il Tirbunale di Milano (società Edizioni della Ginestra s.a.s. o poi la società EDIT s.r.l.) videro la conduzione commerciale e amministrativa di questa importante stazione radiofonica “privata”.
Parte della programmazione radiofonica di RMT venne condotta direttamente da Cesare Bramieri (scomparso prematuramente nel 2008 in seguito ad una grave malattia ematologica) nella trasmissione “Patatine di contorno”.
La storiografia riporta che l’attuale Politico ed ex comico Beppe Grillo esordi’ come comico in una trasmissione notturna in programmazione su Radio Milano Ticinese, intorno al 1976/77.
Se realmente accaduto, il Moncucco, oltre ad annoverare l’esordio del gruppo musicale Equipe ’84 (Osteria La Fogna, ex Mulino Ceresa) negli anni ’60, potrebbe “vantare”, a poche centinaia di metri, in Viale Famagosta 75, anche l’esordio della carriera del comico di Beppe Grillo (oggi controverso personaggio politico italiano).
storiografia:
http://www.storiaradiotv.it/RADIO%20DEI%20NAVIGLI.htm
http://www.storiaradiotv.it/CENSIMENTO%20RADIO%20DEL%20PASSATO%20LOMBARDIA.htm
http://www.newslinet.it/notizie/storia-della-radiotelevisione-italiana-radio-milano-ticinese-la-radio-di-gino-bramieri
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ANNI ’80 (Infiltrazioni mafiose a Milano e alla Barona)
Come reperibile da più fonti internet ma anche dalle cronache giornalistiche degli anni ’80 e ’90, vuoi per la vicinanza con il Q.re Giambellino (sin dagli anni ’70 teatro di controlli criminali dell’immigrazione siciliano calabrese con varie famiglie, sia sul fronte di Cosa Nostra in guerra tra loro che anche tra organizzazioni criminali differenti come la ‘ndrangheta, per la spartizione del traffico di eroina, della ricettazione e delle prime controlocazioni del racket dell’abusivismo degli alloggi demaniali ed ex IACP), vuoi per già sospette frequenteazioni (che poi sospette non erano) “milanesi” di Cosa Nostra siciliana (come da indagini condotte a suo tempo dal Tribunale di Milano e successive assoluzioni “politically correct”) con la famiglia Berlusconi e delle famiglie Craxi, dell’immobiliarista Ligresti e del parente di Craxi, il Sindaco Pillitteri (indagati negli anni ’90 per contatti con esponenti di Cosa Nostra).
In sintesi anche la Barona vide insediarsi nel proprio territorio dei focolai di Cosa Nostra siciliana, espansi dalle confinanti Buccinasco e Corsico (sedi privilegiate della mafia siciliana che si insediava a Milano per controllare il traffico di eroina e in guerra con vari clan calabresi che invece stanziavano il Giambellino, sconfinando con Cesano Boscone e Trezzano Sul Naviglio).
Mentre sino ai primi anni ’80 (vedesi strage Ristorante la Strega del Moncucco del 1979) la Barona era solo un luogo neutro di incontri tra famiglie di Cosa Nostra, dopo i primi anni ’80 la lottizzazione dei complessi edilizi convenzionati sorti tra il Ronchetto, Corsico e Buccinasco, vide l’insediamento, nel Ronchetto, di infiltrazioni di famiglie mafiose siciliane.
Varie fonti sostengono che la speculazione edilizia avvenuta tra Buccinasco, Corsico e la stessa Barona-Ronchetto, sia in buona parte dovuta alle lottizzazioni mafiose-edilizie, condotte tra gli anni ’80-’90 e ‘2000.
Persino il Cavalcavia Giordani (completato nei primi anni ‘2000), pur servendo, soprattutto la confinante Buccinasco, dal viadotto collegata con il Q.re Lorenteggio (che sorge nell’altra sponda del Naviglio, oltre la confinante area S. Crisfoforo-Barona), secondo alcune fonti, farebbe parte di lottizzazioni pianificate nella “Milano da bere” degli anni ’80, realizzate con 20 anni di ritardo nell’attesa che le pregresse indagini finissero nel dimenticatoio…
Negli anni ’80, la progressiva colonizzazione dei comparti edilizi, del commercio territoriale nel sud.ovest milanese di famiglie siciliane e calabresi, collegate alle rispettive Cosa Nostra e ‘ndrangheta, vide una estensione “a macchia di leopardo” all’interno del quartiere (Via S. Rita da Cascia, Ettore Ponti, Binda, Famagosta, Faenza, Lodovico il Moro), anche in realtà condominiali e persino con legami affaristici e clientelari con alcune parrocchie del quartiere e con le amministrazioni del Comune di Milano (PSI, Lega Nord, Forza Italia, PD).
Questa rappresentava la “seconda generazione” di infiltrati mafiosi (persone non direttamente discendenti di cosche mafiose ma in contatto con esse ed al servizio di esse, dalle medesime aiutati nel vincere concorsi pubblici, regionali, provinciali, bandi comunali, nel trovare lavoro, nel ricevere quote di denaro da riciclare tramite attività commerciali e piccolo imprenditoriali. Il tutto in sinergia con imprenditori e amministratori politici locali, non mafiosi).
Nel tessuto urbano, l’infiltrazione mafiosa avvenne in parallelo con una seconda colonizzazione di famiglie calabresi della ‘ndrangheta dedite al traffico di cocaina ed al riciclaggio bancario e finanziario (oggi lo scenario è ulteriormente consolidato verso questa direzione).
Questo processo di infiltrazione mafiosa “silente” (mai realmente indagato dal Tribunale di Milano) non si è mai arrestato, dagli ’80 sino ad oggi ed ha contribuito a eleggere il capoluogo lombardo con il triste primato della metropoli Regina del riciclaggio criminale europeo.
Resta inteso che fenomeni di infiltrazione mafiosa e riciclaggio non sono limitati alla sola Barona, avendo avuto analoghe colonizzazioni in altri quartieri periferici e non di Milano e dintorni, a partire sin dalla fine degli anni ’70 con un trionfo di poteri e competenze e potere d’acquisto degli ultimi 23 anni.
La Tangenopoli ’92 permise a Cosa Nostra ed alla ‘ndrangheta di fare un salto di qualità. Dal narcotraffico ed al semplice riciclaggio tramite reti di banche, dirigenti bancari, assessori, consiglieri, imprenditori… all’accesso agli appalti, alle opere pubbliche, alle commesse regionali, provinciali e comunali. Anche nel settore privato le mafie calabresi e siciliane hanno avuto una penetrazione talmente vasta che nell’arco di 20 anni costituiscono le colonne portanti di buona parte dell’impresa privata e terziaria milanese anche nelle grandi opere come Expo 2015, metropolitane, ferrovie, infrastruttura autostradali…
Le infiltrazioni mafiose, il loro potere d’acquisto e gli intrecci con le amministrazioni delle giunte milanesi e anche regionali degli ultimi 30 anni hanno accelerato un processo di espulsione progressivo dei residenti nativi di tale capoluogo (avviato tramite varie modalità, dal degrado dei quartieri, alla carenza di servizi e sostegno sociale e sanitario, all’invecchiamento della popolazione ed alla bassa natalità, agli sfratti messi in atto dagli immobiliaristi affiliati, alla speculazione immobiliare avvenuta a partire dai primi anni ‘2000), contribuendo a svuotare Milano e periferie dai residenti nativi e sostituire i medesimi con arrivi di reti clientelari, affaristiche, famigliari e nepotistiche dalle regioni del Sud Italia, da un lato, mentre con le stesse modalita’ (che sono comuni anche in altre città del Nord Italia) si è provveduto a rimpiazzare tale popolazione, piu’ o meno estinta o esplusa, con extracomunitari e/o nativi di regioni del Sud Italia alla ricerca e ottenimento di posti di lavoro nelle pubbliche amministrazioni comunali e regionali, nelle banche, assicurazioni, gruppi finanziari, edilizi, sub appaltatori, cooperative, etc… (relativamente a queste “nuove” forme di immigrazione che non contribuirebbero più alla crescita della città ma alla sua progressiva fine ed impoverimento) in un regime di “dumping sociale” particolamente selvaggio (questo è avvenuto anche ed indipendentemente dalla popolazione residente nei plessi di edilizia popolare ALER). Come già accennato in altri articoli, anche l’immigrazione extracomunitaria ha trovato canalizzazioni di integrazione e sostituzione dei precedenti ceti sociali nativi (spesso in regime di “dumping sociale”, anche grazie alla presenza di sovrastruttura parallele del crimine organizzato italiano che ha ampiamente sfruttato questo fenomeno (a proprio favore).
ANNI ’80 (Barona, quartieri confinanti e distretti storici).
La Barona venne raggiunta dalla Metropolitana linea 2 solo nell’Aprile 1985 (stazione di Romolo).
Nell’Agosto 1984, il quartiere, per la prima volta, vide la realizzazione di un Centro Direzionale in Viale Richard (le Torri Ligresti).
In realtà tale centro sorgeva, la dove pochi mesi prima, cessavano le attività di un segmento produttivo (sanitari ceramici) della Richard-Pozzi Ginori, integrato nel comprensorio industriale della Richard-Ginori.
Tra il 1984/85, picchetti e cortei di protesta che si snodavano dalla Via Morimondo, verso Piazza Ohm e Via Santa Rita da Cascia, denunciavano la messa in cassa integrazione di una parte degli operai della divisione sanitari ceramici GINORI e la chiusura del relativo segmento di stabilimento.
Questo avvenne perchè nel 1984 il gruppo finanziario Ligresti acquisi’ la Pozzi Ginori (inclusi i siti R.Ginori di Lambrate e Certosa, dove sorsero torri simili). Tuttavia l’intenzione non era quella di gestire la produzione di ceramiche per sanitari ma di intercettare le aree produttive, dismetterle e lottizzarle per la realizzazione di aree per uffici e per vendere al Comune, lotti marginali dove realizzare aree di parcheggio.
Questo, di fatto, avvenne praticamente nel giro di poche settimane e la produzione Pozzi Ginori degli stabilimenti Richard (quelli più antichi) venne immediatamente interrotta e sin dal Luglio del 1984 partirono i lavori per la realizzazione delle Torri della Barona (con relativa demolizione delle linee produttive di ceramica.
Ulteriori approfondimenti dello scempio Ligresti dell’area Richard Ginori in questo link
http://www.mumi-ecomuseo.it/infodiscs/view/32
Inutile ricordare le indagini antimafia che coinvolsero anche il gruppo Ligresti negli anni successivi…
Come verrà prossimamente approfondito nel futuro articolo Milano Sparita , se sotto l’amministrazione Tognioli-Pillitteri, la “Milano da bere” conobbe l’ebrezza del riciclaggio nella speculazione immobiliare e.. conobbe anche gli affari tra Comune di Milano e Ligresti……negli anni 2004-2016, svariate giunte Forza Italia-Lega Nord e PD, questa “ebrezza” la conobbero, su scala mastodontica, per la realizzazione delle nuove aree “torrificate” di Porta Nuova-Porta Garibali, Expo 2015 e Piazza Tre Torri ex Fiera Milanocity, per non parlare di Rogoredo Quartiere Santa Giulia.
Peccato che la magistratura di Milano abbia sempre limitato le indagini alle punte d’iceberg, ai “pesci piccoli” (volontariamente, rendendo Milano la meno indagata a livello antimafia), senza andare sino alla radice del problema (che ha radici lontane, come, per esempio, famiglie di Avvocati La Russa, Silvio Berlusconi tra le figure reggenti). Grazie a questo, Milano è diventata la capitale europea del riciclaggio col benestare delle istituzioni della Repubblica e istituzioni regionali e comunali. Oggi Milano è realmente etichettabile come un capoluogo di Regione dove le mafie hanno le “mani sulla Città”.
Per paradosso le speculazioni Ligresti, pur nello stravolgimento dell’area San Cristoforo- Naviglio-Richard Ginori, realizzarono strutture che vennero, comunque, interamente fruite, occupate, vendute o affittate ad aziende (ovviamente questo fece salire, ingiustificatamente, i prezzi degli immobili nelle aree circostanti, pur non apportando alcun valore aggiunto alla zona interessata, anzi, violando dei vincoli storici della “vecchia Milano”… come se costruissero una torre di 40 piani in Vicolo Lavandai…anche se credo che tra breve si arriverà anche a questo). Lo stile spartano delle mini torri della Barona divenne un layout comune ad altri complessi similari, come quello di Via Rombon, Zona Certosa, le Torri Olivetti del Lorenteggio e Via Ripamonti.
Ligresti non speculava nelle zone di Porta Garibaldi, Nuova e Fiera Milano, ma nelle periferie, adottando la strategia, in alcuni casi, della falsa riqualificazione delle archeologie industriali che prima acquisiva (con la promessa di risanarle) salvo poi farle morire e costruirci sopra torri e minitorri. Questa tattica, purtroppo, oltre agli effetti visti, consegno’ al berlusconismo maronismo del ventennio lombardo nazionale i quartieri (risparmiati dal Ligresti) della vecchia “City” di P.ta Garibaldi a speculazioni e riciclaggio oltre ogni misura (oltre che scempi urbanistici senza precedenti).
Oggi, i vari immobiliaristi come Ricucci-Grossi-Zunino, Assicurazioni e Banche e gruppi finanziari e assicurativi U.S.A. (che sono i grandi burattinai delle macellerie sociali e degli scempi urbanistici italiani e milanesi degli ultimi 23 anni, col benestare dei siti Facebook farlocchi che fingono di pubblicare la “storia della Milano Sparita”) hanno cementificato di Torri , quasi tutta Milano.
Peccato che tali “skyscrapers” rimangano, a distanza di 4-5 anni, quasi del tutto vuoti (costruendo il “nuovo” per oltre 1/4 di quello già esistente), invendute e inaffittate e architetturalmente un po’ brutte… (questo vale anche per le torri che espongono insegne di gruppi bancari e assicurativi, in realtà utilizzano solo parzialmente spazi e volumetrie realizzate), dimostrando che il mattone e il riciclaggio, a Milano è diventato “ORO POST IMPRENDITORIALE E POST INDUSTRIALE DELLA CITTA'” (piaccia o meno ammetterlo), e quello che un tempo era speculazione immobiliare nelle compravendite, oggi è puro riciclaggio e ammortamento nei bilanci passivi (rendite passive) di Assicurazioni, Gruppi Immobiliari e Banche che sono proprietarie di volumi di torri vuote e invendute… A Milano, Roberto Formigoni e successivamente Roberto Maroni, a fronte di un grattacielo vuoto (il Galfa) strategicamente acquistato da Ligresti per lasciarlo tale, la Regione Lombardia prosciugo’ i fondi ALER per realizzarne uno nuovo quando era sufficiente ristrutturane uno vuoto e già esistente!
Negli anni ’80 le minitorri di Viale Richard vennero realizzate nella allora totale violazione del piano regolatore che vincolava ad uso artigianale e industriale l’area compresa tra: Via L. il Moro-Via Morimondo-Via Richard (zona destinata a vincolo d’ uso industriale). I terreni erano gratuiti (sorgevano nella già acquisita Pozzi Ginori) e gli affari per coloro che dovevano edificare per uso terziario erano garantiti.
L’impatto urbanistico di queste 4 torri non era e non sarebbe tutt’oggi (a distanza di 32 anni dall’inizio dei lavori, a circa 29 anni dalle loro inaugurazioni) nel rispetto di vincoli storici urbanistici, vista la vicinanza estrema con il Naviglio Grande e il rione San Cristoforo con la omonima e millenaria chiesetta.
PIZZO ‘NDRANGHETISTA A DANNO DEI COMMERCIANTI DEL QUARTIERE BARONA
Il fenomeno è noto e non si limita, certamente, al solo quartiere Barona,
Centro e periferia, da oltre 25 anni, devono confrontarsi con la penetrazione calabrese mafiosa che prende di mira i piccoli commercianti delle periferie.
Un episodio degno di nota avvenne nel Novembre 2011 in Via Santa Rita da Cascia, in corrispondenza del civico 12.
Verso le 23.30, un chiosco di giornali, posto nel lato Ovest della via, venne fatto esplodere.
Sembra che il titolare si oppose al “pizzo” (pagamento di una tassa alle organizzazioni mafiose) imposto da esponenti locali della ‘ndrangheta.
L’episodio non ebbe il rilievo e l’enfasi che meritava per la gravita’ del fatti.
Sicuramente questo attentato in classico stile mafioso non rappresenta l’unico episodio di racket mafioso del quartiere e della citta’ di Milano.
Magistratura e istituzioni comunali fingono di non sapere e di non vedere ma la Barona, come il resto della Citta’ di Milano, sono sotto il dominio della ‘ndrangheta con il benestare di Lega Nord, Forza Italia, Fratelli d’Italia e Partito Democratico.
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Tentativi di riqualificazione del Moncucco (anni ’80 e anche anni 2000/10)
Terrorismo politico in Barona-Moncucco-S.Rita da Cascia-Faenza, eccidi Brigate Rosse, Proletari Armati per il Comunismo, Mafia.
A ridosso del Moncucco ed oltre la Cascina Monterobbio, già quartiere Sant’Ambrogio 1, nel 1980 venne inaugurato l’Ospedale S. Paolo alla Barona (dopo quasi 10 anni di ritardo, i lavori iniziarono alla fine degli anni ’60).
Stano destino volle che questo polo ospedaliero venne eletto dalla magistratura milanese come luogo di degenza di esponenti delle varie mafie siciliane e calabresi in detenzione presso i carceri di Opera e S. Vittore. Negli anni ’90 la Barona e il San Paolo passarono agli Onori delle cronache nazionali per un omicidio all’interno delle corsie di tale ospedale, dove un mafioso ivi ricoverato in detenzione carceraria venne assassinato senza che nessuno si accorse di quello che stava accadendo. Il fatto saltò alle cronache nazionali. Il vezzo della magistratura milanese e DDA (Ilda Boccassini) di utilizzare il S. Paolo come luogo di ricovero di mafiosi e presunti tali si rinnovo’ nello scorso mese di Luglio. Noto a tutti il decesso di Bernardo Provenzano, detto Binnu u’ Tratturi (all’età sin troppo avanzata di 83 anni) avvenuto alla Barona, in una corsia del S. Paolo. Questo segna una ennesima beffa del destino di un quartiere tra i più giovani della cintura periferica di Milano (nuovo Onore delle cronache nazionali e internazionali a discapito dell’immagine del quartiere Barona e beffardo destino di questa periferia ai limiti del “mondo”).
Nella fine anni ’80, adiacente a Viale Romolo e rispettiva stazione metropolitana, venne realizzata l’Università di Lingue Moderne e comunicazione, IULM (inaugurata nei primi anni ’90).
Successivamente, assicurazioni e Università cementificarono l’area (Tazio Nuvolari) con varie mini torri.
Anche un gruppo assicurativo, negli anni ‘2000, fece la propria mini torre. Malgrado la cementificazione, il distretto Moncucco Romolo rimase e rimane,(nonostante gli “sviluppi” urbanistici degli ultimi 23 anni), degradato nelle frequentazioni notturne … per questioni risalenti agli anni ’70 e ’80 e anche prima (area periferica che negli anni ’60 era già luogo di bische clandestine e prostituzione, sulla falsariga di altri quartieri periferici come il Giambellino, Quarto Oggiaro, Crescenzago, Ortica e Monluè e Rogoredo) che videro il Moncucco preda di palazzinari ex IACP che lo cementificarono come si cementificavano le borgate romane… palazzoni e palazzacci senza servizi, negozi… non integrati con il resto del quartiere e della città (malgrado molti alloggi popolari fossero inseriti nel mercato privato della compravendita…). Negli anni ’70, come sappiamo, il Moncucco era frequentazione della mala di neo mafie dell’Italia meridionale che stavano radicandosi nel territorio milanese.
Il rapido degrado di alcuni settori del quartiere, come il Moncucco ed i territori confinanti con un settore di storia, anche molto remota, del quartiere e del Borgo Barona, vide, a cavallo degli anni ’70 ed ’80, l’ingresso in campo di alcuni Sacerdoti di “frontiera”. Significativo il contributo umano e sociale di Don Ezio Orsini (nell’articolo sottostante tutti gli approfondimenti doverosi, di una terra parte integrante della storia di Milano e del Quartiere Barona e Borgo Barona … in periodi storici molto antecedenti all’unità d’Italia).
Nel 1992 in Via Filippo da Liscate, sempre a ridosso del Moncucco e della vicina stazione M2 Romolo (Giugno/Luglio 1992) all’interno di un’area industriale dismessa ed a ridosso della Fonderia Vedani, una maxi rissa vide contese bande contrapposte di extracomunitari che utilizzavano tale sito come luogo di dimora precaria, spaccio e prostituzione. La zona venne presidiata da Polizia e Carabinieri e perlustrata con elicotteri. L’episodio fece il giro della Nazione, di quotidiani e di telegiornali (ennesimo caso che entro’ negli Onori della cronaca radio-televisiva e giornalistica nazionale, avente come “location” nuovamente la povera Barona…)
In realtà la Barona, nel 1989-90 entro’ precocemente agli Onori delle cronache nazionali per essere stato il primo quartiere teatro di immigrazione clandestina (inizialmente bene intenzionata, ingegneri e tecnici provenienti dal Nord Africa alla ricerca di lavoro, di una vita e di un benessere onesto).
Le dimore di queste “avanguardie” dell’immigrazione, si insediarono in alcuni ruderi cascinali nelle vicinanze del Q.re Sant’Ambrogio di dove oggi sorge il Barrio’s Cafè (Molino Foletto, già rudere negli anni ’70 causa incuria e pare anche per un incendio che lo ridusse ad un mucchio di macerie).
In piena Milano da Bere (giunta P.S.I/ Pillitteri), queste avanguardie migratorie, dopo aver presto compreso che Milano e Italia non erano l’Eldorado che le televisioni Fininvest Canale 5 e le reti pubbliche Rai irradiavano nelle coste di Algeria, Tunisia, Albania e Libia…, fecero rientro nelle rispettive nazioni (dopo goffi tentativi della Questura e del Comune di Milano, di dare loro alloggio e lavoro).
Dopo questa prima ondata pacifica, a partire dal 1991, (anche in conseguenza degli sbarchi albanesi in Puglia), le prime e ufficiali ondate migratorie di disperati e anche di ex detenuti in fuga dalla loro terra madre…, sbarcarono nelle periferie di Milano.
I fatti della Barona (1989 e 1992) anticiparono quello che poi divenne luogo comune a partire dal 1993 sino ad oggi… immigrazione incontrollata, immigrazione irregolare, dumping sociale a discapito delle fasce più deboli degli italiani/milanesi, immigrazione reclutata negli appalti edilizi e stradali, immigrazione che foraggia le manovalanze del crimine organizzato anche e soprattutto grazie alla giunta Lega Nord di Formentini (un paradosso che poi tanto paradosso non era..).
Nel 1994 (Novembre), venne inaugurata (in coincidenza con la celebrazione dei 30 anni di Metropolitana Milanese) e con un ritardo di circa 2 anni, causato dalla Tangentopoli ’92, la Stazione Famagosta M2 (la seconda fermata M2 che attraversava il quartiere).
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ANNI DI PIOMBO
TERRORISMO BRIGATE ROSSE-PROLETARI ARMATI PER IL COMUNISMO E MAFIA (1979/1998)
Non esiste un confine preciso (come tutti sanno) tra Stato e antiStato, mafie ed antimafie, terrorismo ed anti terrorismo. Non è certamente questa la sede per dietrologie passate e contemporanee.
Quello che molti già sanno e che andremo a leggere in estrema sintesi (per quanto concerne agli attentati Brigate Rosse e Proletari Armati per il Comunismo) induce stupore per il livello profondo di conoscenza di certi gruppi terroristici delle abitudini e delle funzioni investigative e operative delle forze dell’ordine.
Sia per l’omicidio di Andrea Campagna (Via S.Rita da Cascia con l’intersezione di Via Modica, il 19 Aprile 1979) sia per il triplice omicidio di Via Schievano (8 Gennaio 1980) BR e PAC conoscevano nei dettagli i movimenti delle loro vittime. Stupefacente poi era la messa in conoscenza che un’auto civetta della Polizia di Stato (una FIAT Ritmo) passasse alla tal ora e nel tal luogo con il tal contenuto di agenti a bordo. Sono elementi che non possono non aditare sospetti che talpe, informatori o anche peggio abbiano contribuito attivamente alla esecuzione di questi attentati (non esiste un confine tra Stato e Mafie come non esistevano confini tra Stato-servizi segreti e Organizzazioni terroristiche sia fasciste che comuniste).
Non conosceremo mai la e/o le verità di certi fatti. Chi la conosce, non si spreca, di certo, spesso invano, a pubblicare siti internet cronologici nel tentativo di capire del perche’ certi fatti abbiano potuto aver luogo. Sono dietrologie (se possiamo chiamarle tali) ormai passate, quelle tesi che sin dall’epoca dei fatti sostenevano non esserci un confine preciso tra terrorismo eversivo, Alte Cariche dello Stato, e Mafia contro Stato. Tali sospetti sostenevano e sostengono tutt’oggi che non esisterebbe una reale linea di demarcazione e che spesso le controparti siano complementari, l’una in funzione dell’altra… dove male e bene si confondono e si rendono indistinguibili.
tra l’Aprile 1979 e il Gennaio 1980 (senza considerare la sparatoria di Viale Faenza del 1998, ben 18 anni dopo), alla Barona ben 12 omicidi (anche se 3 vennero eseguiti poco oltre il confine del Ticinese, dove la Via Schivano, all’epoca, sconfinava nella ex Zona 5 Milano Ticinese) furono eseguiti, seminando morte e sangue tra agenti di polizia e sospetti affiliati alla mafia narcotrafficante, incluse anche persone innocenti, ree di trovarsi nel luogo sbagliato nel momento sbagliato.
Come sopra accennato, la Barona, pur da quartiere periferico, decentrato e dall’assetto quasi ancora rurale, artigianale, residenziale e piccolo industriale, dovette affrontare, dalla seconda metà degli anni ’70, durissime e imprevedibili realtà sociali, anche di immigrazione dura e di difficile integrazione, lotte di classe, lotte politiche e l’avanzare, anche nel suo territorio, di varie forme di illegalità e crimine foriere di cronaca nera molto grave , scontri politici e eventi di terrorismo/mafie anche di impatto Nazionale. Milano, in quegli anni (1969-1983) anticipo’ scenari di lotta politica, forze occulte legate allo Stato ed alle istituzioni, presenza criminale, nascente crimine organizzato e strategia della tensione (vedesi Piazza Fontana e la Questura in Fatebenefratelli, tra le principali). La Barona, cosi’ come fu teatro di eventi sanguinosi durante la seconda guerra mondiale (bombardamenti e rappresaglie contro forze della Resistenza Partigiana e anche civile), non ebbe, per nulla, un ruolo secondario anche negli “anni di piombo”. Del resto era e sarebbe un quartiere di Milano.
Nel 1979, nell’ex ristorante “Le Streghe” di Via Moncucco (3 Novembre) un regolamento di conti di sospetti personaggi della malavita organizzata italiana, legati al narcotraffico ed alla prostituzione (mafie del narcotraffico di eroina gestito da Cosa Nostra e famiglie affiliate. La strage fu ufficialmente un regolamento di contri tra Angelo Epaminonda, siciliano di Catania, narcotraffico di eroina e prostituzione e Francis Turatello (detto Faccia d’Angelo) , nato ad Asiago ma di famiglia meridionale, boss della prostituzione milanese avente intrecci con i marsigliesi, Cosa Nostra e Nuova Camorra Oranizzata), fece una strage che scosse l’intera Nazione (8 morti tra avventori, titolari del ristorante, Antonio Prudente, legato, pare, al riciclaggio di entrambi i contendenti, Turatello ed Epaminonda). L’anno precedente, sempre lo stesso ristorante fu teatro di una sparatoria. Il titolare del locale era in relazione con i circuiti di gioco d’azzardo di Francis Turatello che a sua volta aveva relazioni con Cosa Nostra Siciliana. Questo fatto spicca per vere e proprie omissioni investigative delle autorità competenti, tanto che in poco tempo nessun cronista e nessun magistrato si occupo’ ulteriormente del caso. Questo ristorante, che aveva cambiato nome e gestore di recente, sino al 1978 si chiamava “L’Osteria della Fogna” e fu teatro di un conflitto a fuoco nell’estate del 1978, periodo in cui aleggiavano voci che fosse una specie di “piano bar” alla “buona” per clienti altolocati con tendenze omosessuali. Il locale, negli anni ’70 era divenuto (nonostante le pessime frequentazioni del titolare), un locale di moda per gente dello spettacolo. Venne frequentato da vari attori tra i quali Walter Chiari e sembra che fu il trampolino di lancio del complesso musicale Equipe 84. Dopo la seconda metà degli anni ’70, la gestione passo’ ad Antonio Prudente, degradando tale ristorante e locale di intrattenimento in una specie di covo della malavita meridionale.
La Barona era e sarebbe “incastonata” tra due difficili quartieri (Giambellino e Stadera) dalla storia dura e difficile, spesso storie criminali vere e proprie, e la vicinanza con tali realtà fece eleggere questo quartiere come territorio neutrale dove gestire incontri, compromessi, alleanze, contese e strategie.
Pochi mesi prima, un omicidio politico di rilievo Nazionale ed oltre… avvenne lungo la Via Santa Rita da Cascia (19 Aprile 1979) all’incrocio con la Via Modica.
Un agguato dei PAC (Proletari Armati per il Comunismo-Colonna Battisti) assassino’ un Agente DIGOS, Andrea Campagna.
L’agente DIGOS era molto giovane, di anni 24 (avrebbe compiuto 25 anni solo il 18 Agosto del 1979), e apparentemente non ricopriva funzioni e ruoli investigativi all’interno della Divisione Investigativa Politica della Polizia di Stato, limitandosi ad essere un esecutore di ordini altrui.
L’attentato avvenne presso l’abitazione della fidanzata e del padre della medesima.
Non furono mai chiarite le cause che spinsero CESARE BATTISTI (già legato all’omicidio del gioielliere TORREGIANI), il leader ideologico dei PAC, ad uccidere Andrea CAMPAGNA. Varie tesi sostengono che venne eletto come capro espiatorio perche’ il suo volto compariva in un breve servizio RAI dove una squadra DIGOS, di cui faceva parte , procedeva all’arresto di alcuni sospetti terroristi e/o membri del PAC in vari quartieri di Milano, tra i quali la Barona.
Un commento di odio, a distanza di quasi 40 anni compare nel canale youtube dedicato a questo fatto.
Altre tesi sostengono che tale agente DIGOS fosse presente presso i locali della questura di Milano durante il pestaggio di alcuni di questi sospetti terroristi e si fece anche il suo nome. Forse era l’obiettivo piu’ facile da colpire tra tanti colleghi. Non svolgeva funzioni di indagine diretta nella squadra anti terrorismo della Questura di Milano, in apparenza non vi erano collegamenti diretti con la sua persona alle repressioni anti terroristiche, reali o sospette di quel periodo (dove l’applicazione della Legge Reale e l’abuso della medesima determinarono condizioni di repressione o percezione della medesima e di caccia alle streghe anche in ambienti estranei al vero terrorismo). Erano anni dove, anche per effetto della Legge Reale (legge 22 maggio 1975, n. 152, poi abolita tramite Referendum Abrogativo nel 1978) avveniva un inasprimento delle azioni repressive dello Stato, in varie occasioni con sfumature autoritarie che determinarono, poco tempo prima, la promulgazione di un Referendum dove si chiedeva ai cittadini italiani se volessero rinunciare a determinati diritti di garantismo giudiziario e investigativo o preferissero mantenere una condizione di emergenza che sovente, come avviene in Italia, generava arresti preventivi ancor prima di raccogliere gli elementi istruttori per dimostrare e confermare la pena. Gli stessi appartenenti al PAC, tra i quali anche Battisti, assunsero come movente di tale delitto, e di attentati simili condotti in altre parti d’Italia, l’adozione da parte delle autorità investigative di Polizia, dei sistemi di tortura. Lo stesso Battisti dichiaro’, dopo il suo arresto, nel 1979, di essere stato vittima di torture finalizzate alla confessione di determinati reati.
In questo scenario emerge che delle ondate autoritarie dello Stato, chi ne faveva le spese non erano legislatori e politici ma coloro che nelle funzioni dei loro obblighi di servizio al medesimo venivano eletti come obiettivi da colpire perche’ piu’ facili da individuare.
Dopo alcuni mesi dalla strage de Moncucco e da questo omicidio, l’apice venne raggiunto pochi giorni dopo il Capodanno del 1980.
Martedi’ 8 Gennaio 1980, un agguato Brigate Rosse (colonna Walter Alasia) condotto ai confini tra le ex Zone 5 e 16 (Via Schievano angolo Viale Cassala) determino’ la morte di 3 agenti di Polizia:
ROCCO SANTORO-MICHELE TATULLI E ANTONIO CESTARI
(pare fu un avvertimento al neo insediato Generale Dalla Chiesa, trucidato a sua volta a Palermo, dalla mafia collusa con i servizi segreti della Repubblica Italiana nel Settembre 1982). Era una fredda mattina di inizio inverno, la notte aveva nevicato. Sul luogo dell’eccidio si reco’ anche Bettino Craxi nella stessa mattinata.
Il tutto avvenne in pochi secondi, senza (stranamente) nemmeno un testimone (forse il luogo venne scelto per il suo scarso afflusso pedonale) a ridosso del Supermarket Esselunga, accanto ai laboratori della CGC, Compagnia Generale Contatori, a poche decine di metri dai cancelli della Fonderia Vedani ed a circa 150 metri dalla Scuola Media Antonio Gramsci (episodio che fece il giro del mondo).
Cio’ che lascia perplessi era il fatto che le Brigate Rosse fossero a conoscenza delle operazioni di indagine, investigazione e perlustrazione di un’auto civetta (FIAT Ritmo) con a bordo proprio degli agenti di PS entrati, per vicende che non potremo mai conoscere nel dettaglio, nel mirino dei terroristi per apparenti loro coinvolgimenti diretti in azioni repressive contro la sinistra extraparlamentare e ambienti vicini alla miltanza brigatista.
L’auto civetta doveva perlustrare il quartiere Barona e le BR erano a conoscenza da molti giorni prima di queste funzioni investigative.
Il commando BR era costituito da Nicolò De Maria (guidava l’auto degli attentatori) mentre il terzetto composto da Barbara Balzerani, Mario Moretti e Nicola Gianicola fu quello che esegui’ materialmente il triplice omicidio.
E’ importante ricordare che la rivendicazione del triplice omicidio (un monito al Generale Dalla Chiesa appena nominato alla direzione del Comando Pastrengo con funzioni di indagine e repressione antiterroristica), anticipava di due anni e mezzo il suo assassinio a Palermo (strage di Via Carini del 3/9/1982 dove perirono anche la moglie e un agente di scorta) per mano di Cosa Nostra Sicliana…. i cui sviluppi investigativi, come in moltissimi altri casi, fecero emergere legami con i servizi segreti italiani, forze politiche di governo regionale ma anche nazionale, intrecci con terrorismo neofascista e comunista e strani rapporti con ambienti del terrorismo internazionale medio orientale e servizi segreti americani della CIA.
FRANCESCO RUCCI, AGENTE POLIZIA PENITENZIARIA
18 Settembre 1981
Via Merula, incrocio Via Lodovico il Moro, distretto Ronchetto-Tre Castelli Barona
Il giorno 18 Settembre 1981, in Via Merula, venne ucciso, da terroristi di Prima Linea, un Brigadiere degli Agenti di custodia del Carcere di S.Vittore, Francesco Rucci.
L’omicidio avvenne alle 8 del mattino, in Via Merula (con un verso di circolazione opposto a quello attuale), in prossimita’ dell’incrocio con Via Lodovico il Moro (Tre Castelli-Ronchetto sul Naviglio, Barona), il 18 Settembre 1981, per mano di un presunto nucleo di “Prima Linea”.
Nel periodo dell’agguato mortale, varie frange collegate all’estremismo di sinistra imputavano agli operatori carcerari della Casa Circondariale di San Vittore azioni di tortura e repressione nei confronti di militanti estremisti di ispirazione comunista provenienti da Carceri in regime di detenzione speciale.
Una Alfa Romeo (Alfetta) di colore azzurro nella mattina del 18 Settembre 1981, verso le ore 8, taglio’ la strada all’Agente Carcerario Francesco Rucci che vistosi esposto a colpi d’arma da fuoco cerco’ la fuga dal lato opposto della sua auto venendo, tuttavia, freddato da un complice di tale commando non appena cerco’ di fuggire dal lato passeggero della propria automobile.
Da tampo, Francesco Rucci, visto il clima inquisitorio presente all’interno del Carcere di San Vittore, chiedeva il trasferimento, ottenendolo in quel di Bergamo, trasferimento che dal medesimo venne rifiutato per la eccessiva vicinanza geografica rispetto alla Città di Milano, aspetto che rendeva, probabilmente, inutile l’accoglimento di un cambio di residenza e di luogo di lavoro sito a poche decine di chilometri da una Casa Circondariale luogo di minacce di matrice terroristica.
Rucci cadde sotto l’effetto di colpi d’arma da fuoco lasciando la moglie (assistente sociale presso l’allora settore detentivo dei tossicodipendenti da eroina) in attesa del primo figlio.
fonte storiografica:
http://www.poliziapenitenziaria.it/public/post/blog/in-memoria-di-francesco-rucci-brigadiere-degli-agenti-di-custodia-ucciso-da-terroristi-di-prima-lin-3132.asp
BREVE STORIA DELLE BRIGATE ROSSE (COLONNE MILANESI WALTER ALASIA, STRAGE DI VIA SCHIEVANO) E ACCENNI AL RAPIMENTO DI ALDO MORO
Come sempre di consuetudine in questo web, viene anticipato che alcune cronologie milanesi “storiche” relative (in questo caso) al terrorismo politico degli anni ’70 ed ’80, nella citta’ di Milano, non hanno la pretesa di sostituirsi alle cronologie ufficiali (cronologie sicuramente depistate) della storia contemporanea della ex Capitale Morale d’Italia (il berlusconismo contribui’ a declassare Milano nel corso dei decenni sino all’attuale immobilismo economico e imprenditoriale soverchiato dalle infiltrazioni mafiose, in primi la ‘ndrangheta, che nei vari consigli regionali Lombardia di Forza Italia e Lega Nord… ma non solo, videro in tempi recenti, presenze ‘ndranghetiste …).
Il presente articolo nasce dalla necessita’ di completare la poverta’ di contenuti storici di pagine politico commerciali facebook (pagine commerciali di vendita libri e di promozione di immagine e di consensi) come “Milano Sparita e da ricordare”; “Da Milano alla Barona” (che cita i fatti nei suoi prodotti di e-commerce ma non ne approfondisce le possibili cause politiche ed eziologiche alla causa); “Milano Sparita skyscrapers”; “Milano nei secoli”… etc… subordinate, alcune di esse, alla logica berlusconista (e storiografica) della censura politica se non della promozione ideologica, per le altre…
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Le Brigate Rosse sono e rappresentano un misterioso rompicao storico mai risolto, (malgrado l’apparente iniziale spontaneismo di alcuni dei suoi fondatori, accusati tuttavia, da vari autori e fonti, di essere al servizio dei servizi segreti). Ufficialmente questo movimento di lotta politica si diffuse nelle lotte operaie per i diritti dei lavoratori. Le Brigate Rosse misero in atto, tuttavia, azioni di terrorismo e di rapimento di personaggi talmente potenti e strategici che le modalita’ organizzative rappresentano un mistero italiano e forse internazionale, ai limiti della fantapolitica, tutt’oggi avvolto nell’irrisolto.
Le Brigate Rosse (forse il nome trovava ispirazione nelle Brigate antifasciste Partigiane per la Liberazione) sono parte della Storia di Milano perche’ ufficialmente (servizi segreti, massonerie deviate a parte) si costituirono nell’area milanese dei gruppi storici di lotte operaie e studentesche, in particolare modo all’interno della PIRELLI e della SIT-SIEMENS (secondariamente anche nella BREDA e ALFA ROMEO).
Il “vivaio” dal quale le future BR attinsero militanti (verso il 1969) aveva un nome ed una sua identita’ politica e si chiamava COLLETTIVO POLITICO METROPOLITANO e successivamente SINISTRA PROLETARIA.
In questo collettivo politico, eterogeneo e costituito, come accennato, da operai, principalmente delle industrie PIRELLI e SIT-SIEMENS, ma anche da gruppi studenteschi (un collettivo nato inizialmente come fronte di “lotta operaia”) dopo la nota e ormai appurata “Strage di Stato” di Piazza Fontana del 12 Dicembre 1969, prese piede la convinzione che simili attentati fossero di natura istituzionale (anche internazionale, vedesi le proclamazioni della lotta allo “Stato Imperialista delle multinazionali”, identificato nelle ingerenze politiche USA della CIA) e neofascista (Strategia della tensione) finalizzata alla repressione delle lotte operaie.
La prima Brigata Rossa si costitui’ negli stabilimenti PIRELLI di Miano, verso il Novembre 1970.
Diversi anni fa circolava una indiscrezione (mai ufficializzata mai ripresa dalle cronache e fonti ufficiali) nella quale si sosteneva che il reclutamento, soprattutto studentesco, delle militanze milanesi delle Brigate Rosse (intese come pura manovalanza ideologica e proselitista di facciata, piuttosto che di militanti coinvolti in azioni terroristiche vere e proprie), veniva anche gestito nell’allora Terrazza milanese degli aperitivi (si tenga presente che la locazione di 50 anni fa potrebbe non essere la stessa degli attuali omonimi Bar degli aperitivi, che annovera, attualmente la Terrazza Martini e la Terrazza Aperol) di Milano-DUOMO.
In tale indiscrezione (le informazioni storiche sulla costituzione delle BR sono, oltre che confuse, quasi caotiche, controverse, soggettive e sicuramente depistate nel corso degli anni…) emergevano paradossi sulla natura dei personaggi che, nell’ombra, serravano e rinforzavano la futura manovalanza terroristica di Milano… personaggi non proprio da definirsi Comunisti ma prossimi ai servizi segreti…ed a Comunione e Liberazione (uno dei movimenti cattolici settari che contribuirono anche al finanziamento lobbistico di Forza Italia di Dell’Utri e Berlusconi, dopo aver insanguinato l’Italia con movimenti terroristici di estrema sinistra e forse anche di estrema destra).
In questa sede non si vuole dare una rispolverata alle controverse e inverosimili tesi ufficiali (i reggenti delle Colonne costituenti furono i noti Semeria, Curcio, Cagol dall’Universita’ di Trento e Franceschini, Gallinari, Ognibene, Paroli, Pelli dai collettivi dell’Emilia).
A conforto della tesi non “Comunista” dei fondatori delle Brigate Rosse, non ci sarebbe solo l’origine cattolica studentesca di alcune delle colonne fondatrici (vedesi Curcio, tra i vari) ma anche la sede ed il luogo dove le BR istituirono il primo “congresso” (clandestino) di questo movimento di lotta politica (di ufficiale ispirazione Marxista). Il primo ufficiale incontro venne organizzato in una saletta riunioni di Comunione e Liberazione di una parrocchia di Chiavari, in Liguria, poco dopo la fondazione ufficiale avvenuta a Milano nel Novembre 1970 (difficile credere che il Sacerdote di tale Parrocchia non sapesse della matrice politica dei personaggi a cui metteva a disposizione un locale riunioni…).
Nella storia di Milano, nei prini anni ’70, si annoverano adesioni alle Brigate Rosse da parte di militanti ed operai dei quartieri Giambellino e Quarto Oggiaro.
Gli ambienti di incontro e di operativita’ di questo movimento di Lotta furono sempre clandestini o semiclandestini e non ebbero mai, neanche inizialmente, una adesione e una approvazione politica e parlamentare.
Nei primi anni ’70, all’interno delle BR, si costituirono gruppi parzialmente indipendenti cappeggiati dalle varie “Colonne” (Alasia, Curcio, Sossi, Moretti, tra i molti, Morucci, Faranda per le “colonne” romane…), “Colonne” ideologiche ed operative che si sarebbero poi rese protagoniste, negli anni successivi, di azioni di rapimento o agguati anche mortali a carico di dirigenti aziendali, armatori, imprenditori, forze dell’ordine, magistrati e personalita’ politiche e annche Giornalisti e persino un sindacalista.
Adesioni e militanze avvennero anche a breve distanza dagli stabilimenti PIRELLI.
Le industrie BREDA (Milano Bicocca-Sesto San Giovanni) videro la presenza di nuclei autonomi delle Brigate Rosse ed anche l’Alfa Romeo di Arese.
Come noto, i quartieri Ticinese e Barona furono teatro di agguati mortali condotti dalle Brigate Rosse a cavallo tra gli anni 1979-80.
Il piu’ noto fu l’agguato di Via Schievano tra Ticinese e Barona (proprio a ridosso del rilevato ferroviario dell’allora vecchio sottopasso della ex cintura Sud ferroviaria) eseguito (Colonna milanese Walter Alasia) la mattina dell’8 Gennaio 1980, nel quale persero la vita tre agenti di polizia: Antonio Cestari, Rocco Santoro, Michele Tatulli (che nel corso dell’autunno inverno 1979/80, inclusa anche la mattina dell’eccidio, pare effettuassero indagini, in borghese, con auto civetta, relative a militanze politiche nelle due sedi dell’ITIS Feltrinelli, siti in Piazza Lucrezio Caro al Ticinese e in Via Pestalozzi 18). Il Ticinese fu teatro, pochi mesi dopo, il 28 Maggio 1980, in Via Salaino, dell’omicidio del giornalista del Corriere della Sera, Walter Tobagi, la cui omonima Via venne dedicata nel Febbraio 1986, presso il quartiere Barona, tra le Vie Santa Rita da Cascia e Via Parenzo/Viale Faenza. L’omicidio non venne pero’ ufficialmente eseguito dalle BR ma dalla “Brigata XXVIII marzo”.
Nel merito della “strage di Via Schievano”, cio’ che stupiva era la precisione ed altissima efficienza operativa (pari solo a commandi gestibili dai servizi segreti ministeriali italiani) di una Colonna (Walter Alasia) che per paradosso, prima di aver compiuto vari agguati mortali nella Citta’ di Milano, per tutto il 1980, venne, ne4l 1979, formalmente espulsa (con scissione decisa dai vertici ideologici delle BR) propio dalla linea esecutiva del Movimento della Brigate Rosse), perche’ ritenuta non aderente alla linea politico-operativa del comitato esecutivo e della direzione strategica.
Vi è da chiedersi in nome di chi e per mano di cosa questa Colonna commise vari attentati mortali dalla linea esecutiva molto mirata e percisa, competente per la conoscenza degli ambienti riservati dove acquisire informazioni precise e dettagliate dove concretizzare vittime politiche ed efficiente per la precisione e rapidita’ delle azioni.
Proprio questo attentato e proprio gli autori ufficiali, cosi’ come le modalita’ molto precise e “chirurgiche” nel quale venne consumato l’agguato di Via Schievano, spiccava per una conoscenza a propri (informazioni riservate ottenibili solo dalla Questura di Milano) della gestione operativa e dei coordinamenti investigativi (pare relativi a militanze politiche nelle due sedi dell’ITIS Feltrinelli, siti in Piazza Lucrezio Caro al Ticinese e in Via Pestalozzi 18) della Questura di Milano che nella mattina del 8 Gennaio 1980 inviava verso il quartiere Barona un’auto civetta della PS con finalita’ di investigazione territoriale e con all’interno tre agenti di PS in borghese…formalmente irriconoscibili come tali). Ufficialmente, lo stesso giorno dell’agguato. il Comunitato BR diramava che l’agguato era stato condotto per “salutare” l’arrivo del Generale dei Carabinieri Dalla Chiesa nei reparti investigativi antiterroristici di Milano.
Sempre la Colonna Walter Alasia mise a compimento un omicidio proprio all’interno di un convoglio della Metropolitana Milanese M1, nel 12 Novembre 1980. La vittima era Renato Briano, direttore Ufficio Personale della Marelli.
Si sottolinea che la scissione della Colonna Alasia dal fronte unitario delle BR avvenne indipendentemente dai fatti del 24 Gennaio 1979 con l’omicidio del sindacalista genovese, a Genova, Guido Rossa.
Negli scenari degli eccidi BR emerge che all’interno di tale Movimento l’eterodirezione prevaleva sulle volonta’ dei singoli militanti terroristi (ovvero una poverta’ di autonomia con scelte e comportamenti influenzati dall’esterno e da varie fonti, centri e personaggi di potere, forse anche internazionali, forse gli stessi che oggi influenzano le opinioni, le idee e i comportamenti di milioni di persone tramite le reti sociali internet…).
Nei primi anni ’80 emersero legami delle BR con organizzazioni mafiose ma persino con fronti terroristici opposti, come i NAR, Nuclei Armati Rivoluzionari, ufficiali responsabili di stragi come l’Italicus e la strage del 2 Agosto alla stazione di Bologna.
ROMA, Via Fani, 16 Marzo 1978
Le versioni ufficiali non convincono in alcune parti…
Oggi, 16 Marzo 2018, ricorre il 40° anniversario del rapimento dell’Onorevole democristiano Aldo Moro, il cui agguato, per l’efficienza operativa e la precisione esecutiva lascerebbe, a distanza di 40 anni, sbigottiti, stendendo, ulteriormente, un velo di misteri e di insoluti nella storia contemporanea d’Italia come anche di Milano (malgrado le televisioni di regime sostengano esserci stati unicamente, tra i protagonisti dell’eccidio, solo alcuni “sgangherati” brigatisti…).
Sembra che nelle sequenze dell’agguato e del rapimento (con l’uccisione di cinque agenti di PS) non vi furono solo brigatisti.
Da piu’ fonti si sosterrebbe, da decenni, che le “colonne” operative dei vertici territoriali delle BR fossero condotte da appartanenti ai servizi segreti ministeriali e non si escluderebbero coinvolgimenti di organizzazioni massoniche come la P2 e simili.
Oltre agli immancabili personaggi dei Servizi Segreti italiani (presenti non solo per il rapimento di Moro ma anche per varie stragi di mafia come avvenne per gli omicidi di Falcone e Borsellino… ma la lista sarebbe molto piu’ estesa) da varie a varie fonti (si spera non disinformative) si includerebbe anche la presenza, tra gli esecutori, del Boss della Cosca della ‘ndrangheta calabrese di San Luca, Alfonso Nirta.
La pista della ‘ndrangheta è accreditata da vari procuratori della Repubblica, tra i quali l’ex Procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho.
Tale Cupola della ‘ndrangheta aveva referenti negli ambienti dell’economia, della finanza, della politica e dei Servizi Segreti.
Secondo fonti giornalistiche, sembra che i brigatisti autori del rapimento-strage non fossero a conoscenza della presenza di altri personaggi (‘ndrangheta) che supportarono (a loro insaputa ???!!!) lo scontro a fuoco a danno della scorta di Aldo Moro nella mattina del 16 Marzo 1978 in Via Fani a Roma (quartiere Tronfale).
Si rammenta che a dispetto dell’assenza (o distorsione ?) di alcune informazioni nelle cronache storiche ufficiali (oggi disponibili nelle opere editoriali e nelle edizioni web) nella mattina dell’attentato in Via Fani un guasto insipegabile ad una sottocentralina SIP del Quartiere Trionfale di Roma, isolava telefonicamente un intero quartiere nei momenti e nei minuti successivi al rapimento.
L’intero quartiere Trionfale di Roma, per alcuni e internimabili decine di minuti successivi all’agguato vedeva decine di migliaia di utenze telefoniche isolate (nel 1978 non esistevano le reti di telefonia celluare e senza rete telefonica fissa, NESSUNO POTEVA AVVISARE I CENTRALINI DEL 112-113 IN TEMPO UTILE…).
La tesi ufficiale di questo presunto guasto delle linee telefoniche SIP (tesi ufficiale disponibile anche in wikipedia) attribuirebbe il guasto medesimo ad un sovraccarico dovuto al traffico telefonico generatosi dopo l’attentato.
Una tesi piuttosto dubbia considerato che le vecchie linee telefoniche operavano con sistemi a commutazione di circuito e che negli anni ’70, almeno la meta’ degli abbonati SIP possedeva un allacciamento in DUPLEX (una lina per due allacciamente, una linea per due permutatori… uno dei due restava libero se la chiamata in corso era effettuata da uno dei due utenti…).
Il DUPLEX era una condivisione di una sola linea telefonica (in pratica un doppino in rame tra telefono e permutatore alla prima centrale SIP di zona, condiviso tra due telefoni dislocati in appartamenti differenti o persino in vie differenti).
Un sovraccatico di chiamate ai numeri di emergenza, nella peggiore delle ipotesi, avrebbero reso irraggiungibili i servizi di Pronto Intervento medesimi (per saturazione di chiamate rispetto ai trasferimenti di chiamata automatici disponibili per i numeri 112 e 113) NON L’INTERA RETE A CONNESSIONE DI CIRCUITO CHE ALLACCIAVA CENTINAIA DI MIGLIAIA DI ABBONATI SIP (sino a prova contraria, per intenderci…).
Tuttavia un saturazione delle linee dei numeri di emergenza alle forze di Polizia (indipendenti dalle reti SIP)… non avrebbe isolato decine, centinaia di migliaia di linee delle utenze telefoniche private (i centralini di Pronto Intervento, anche all’epoca, operavano su linee a circuito fisico INDIPENDENTI dalla diramazione del traffico telefonico delle linee ufficiali SIP).
All’epoca dei fatti le utenze private SIP erano prevalentemente con un contratto DUPLEX (meno costoso di un allacciamento SINGOLO), dove due utenze (due telefoni, due contratti indipendenti) condividevano una sola linea, dal combinatore telefonico sino al permutatore della piu’ vicina sottostazione.
Lo scenario tecnico che si presentava per le reti SIP telefoniche dell’epoca era che nelle centrali (sottostazioni), mediamente, per UNA LINEA TELEFONICA (un solo doppino da 2 telefoni verso la centrale di zona) VI FOSSERO ALMENO DUE PERMUTATORI (i dispositivi che corrispondono alle numerazioni di due allacciamenti telefonici che condividono una sola linea in DUPLEX).
Se un abbonato SIP chiamava il 112 o il 113, l’altro abbonato (che condivideva la stessa linea DUPLEX) non poteva chiamare nello stesso istante… avendo il telefono (e la linea) isolata sino a che l’altro abbonato non terminava la richiesta di emergenza con gli operatori 112-113.
L’architettura stessa delle reti telefoniche dell’epoca IMPEDIVA SATURAZIONI del traffico telefonico (i permutatori superavano numericamente i doppini…).
Questo comportava (rispetto alle versioni ufficiali) che almeno la meta’ delle persone che chiamassero numeri di emergenza… RIUSCISSE A FARLO (facendo decadere l’ipotesi del sovraccarico di chiamate all’origine dell’isolamento telefonico di un quartiere di centinaia di migliaia di abbonati per quasi mezz’ora dai fatti…).
La presenza di connessioni telefoniche in DUPLEX (una buona percentuale di abbonati SIP verso la fine degli anni ’70) PREVENIVA SOVRACCARICHI ALLE CENTRALI… poiche’ (per esempio) se 5 utenti su 10 erano in DUPLEX, le linee erano libere per 5 utenti su 10… statisticamente per i contratti del periodo… (e per 5 permutatori), vanificando l’evento di un quartiere isolato per decine e decine di minuti (i “Colpi di Stato”, solitamente, negli anni ’70, prevedevano anche l’interruzione di alcuni servizi di comunicazione pubblica…).
Se un certo numero di abbonati non riusciva a prendere la linea (perche’ l’altro utente DUPLEX stava chiamando numeri di emergenza) questo comportava che almeno la meta’ degli utenti DUPLEX avrebbe trovalo linee libere e non vi sarebbe stata la condizione di sovraccarico invece riscontrata la mattina del 16 Marzo 1978 (per circa 30 minuti dall’eccidio).
La limitazione DUPLEX nel telefonare simultaneamente ai numeri di Pronto Intervento non poteva impegnare tutti i permutatori, dato che una percentuale delle utenze DUPLEX ne ve niva automatica esclusa (rendendo ardua la tesi del sovraccarico della rete telefonica in concomitanza del rapimento di Aldo Moro).
L’esistenza, negli anni ”60 e ’70 (sino al 1994, anno nel quale TELECOM, nella conversione residuale delle vecchie linee analogiche in digitale… faceva decadere i vecchi contratti di condivisione fisica di una sola linea telefonica per due abbonati) di allacciamenti telefonici in DUPLEX determinava che una percentuale, anche prossima al 40% delle utente SIP del quartiere Trionfale, non potessero chiamare simultaneamente gli stessi numeri di emergenza, rendendo (quindi) non era del tutto credibile la tesi ufficiale del sovraccarico dei permutatori telefonici SIP di tale quartiere (il sovraccarico, come accennato, doveva essere dei servizi di Centralino di Pronto Intervento).
Ai dubbi di questa versione si aggiunge il fatto che il luogo dell’agguato era sicuramente popolato da numerose palazzine di condominio (difficilmente la maggiorparte di esse superava i 5 piani, erano palazzine con un numero contenuti di appartamenti) ma si teme che il numero di chiamate contemporanee, avvenuto nei minuti immediatamente successivi all’attentato, non potesse superare le centinaia, un traffico comunque gestibile da qualsiasi sottostazione telefonica di quartiere dell’epoca (l’eccidio avvenne dopo le ore 9, ora in cui molti appartamenti circostanti al luogo dell’attentato erano oltretutto vuoti dei loro residenti essendo un giorno lavorativo).
La tesi della saturazione dei relais elettromeccanici delle centrali telefoniche di quel periodo avrebbe delle tesi forse poco coerenti… dopo 40 anni dai fatti.
Sorge (quindi) il sospetto che l’isolamento di migliaia di telefoni non potesse essere la conseguenza alle chiamate simultanee ai numeri di Pronto Intervento, essendo solo questi ultimi servizi quelli potenzialmente soggetti al collasso in caso di eccesso di chiamate (una versione ufficiale dove apparentemente si invertono le cause con gli effetti).
Un mistero (uno dei tanti) tutt’oggi irrisolto e ufficialmente proposto con tesi non sempre verosimili.
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1980-1998
La sezione dedicata agli anni ’80 e ’90 del quartiere Barona, si apre con un’immagine non facente parte del quartiere ma limitrofa ad esso (inserita in un contesto polemico per i motivi sotto espressi).
Dovrebbe trattarsi della Via Selvanesco verso la Via dei Missaglia, anno 1982 (in alternativa della Via Gratosolio, di cui oggi, attualmente, non ne rimane piu’ quasi nulla causa lottizzazioni edilizie). Scrivo “dovrebbe” perche’ l’unica immagine disponibile in rete è, come sempre (e per digrazia), dominio monopolista del famigerato forum “Milano Sparita SkyscraperCity”, vivavio di immagini inedite di Milano nei decenni (sovente imboscate per poi essere girate, poi, ad alcune pagine facebook abbinate a vendite di libri tramite la rete di vendita che si appoggia a Facebook di Zuckerberg), messe in circolo per diventare usufrutto commerciale delle pagine Facebook “Da Milano alla Barona” (che da tale fantomatico gruppo di blogger, in possesso di immagini inedite ad uso e consumo di social newtork vincolati dal commercio di libri, riceverebbe molte immagini che valorizzano la pagina medesima e incentivano all’acqusito dell’omonimo libro) e dalla ancor piu’ nota e famigerata “Milano Sparita e da ricordare” (Forza Italia-Lega Nord-Gruppi neofascisti di estrema destra) che delle immagini inedite rilasciate da anonimi di SkyscraperCity ne farebbe incetta per incrementare le vendite dell’ominimo libro (i “book” di Facebook sono stampati negli USA. Eludono il fisco italiano ma anche vincoli penali e civili editoriali dello Stato Italiano, sempre ringraziando Zuckerberg e le “volpi milanesi” che lo sfruttano).
Gli autori di Milano Sparita SkyscraperCity pur dichiarandosi contro l’uso commerciale delle immagini, sembrano comunque promuoverne tale business.
Purtroppo l’avvento di Facebook e di Zuckerberg e della rete commerciale editoriale ad esso abbinata e coordinata (per alcune pagine italiane) con un nome coincidente con il titolo editoriale delle opere vendute, (nella stragrande maggioranza dei casi, via internet), stampate negli USA e vincolate in termini di tassazione e leggi editoriali a tale paese e non all’Italia, puo’ avere sicuramente permesso ad alcuni autori di beneficiare di spazi editoriali e di vendita difficilmente concessi dagli ormai pochi editori italiani sopravvissuti… ma sta arrecando un danno non indifferente alla libera circolazione di informazioni e immagini in rete dalle conseguenze non di certo indifferenti (internet si è ormai sostitutita in tutto e per tutto alle testimonianze e immagini della storia locale, ivi circolanti in rete e ormai del tutto archiviate negli “storage” delle server farm site in California o Irlanda. Milano e probabilmente buona parte del mondo ha trasferito i ricordi e documenti storici, personali, famigliari, affettivi del nostro passato nelle fauci di multinazionali che hanno fatturato profitti superiori ai PIL di nazioni come Cina, Giappone, USA, UK, Russia, South Korea, sfruttando gli utili di tale riversamento dello scibile umano e universale all’interno di banche dati che rispondono unicamente alle normative dei paesi che le ospitano).
I volpini delle varie pagine Facebook dedicate a Milano e abbinate alla vendita di libri, fingono di non conoscere questi dettagli che rendono (dolorosamente) possibile la gestione della storia di Milano, SOLO A LORO ED UNICAMENTE A LORO !
Inutile che i vari Picard66 e simili dichiarino che chi contesta queste cose abbia le idee confuse, poiche’ carta canta sullo stato della situazione degli archivi fotografici della Milano Vintage degli ultimi 2 secoli, archivi di immagini che al posto di essere reperibili in librerie milanesi e lombarde, nei civici archivi del Comune di Milano nelle biblioteche comunali, in raccolte anche internet ma scevre da finalita’ di commercio e di propaganda elettorale (Milan l’era insci’ nacque, credo, con tale scopo e venne depredato da alcune pagine facebook di Zuckerberg) e in rassegne fotografiche, diventano ecommerce per conto di una multinazionale USA e degli autori “milanesi” che ne hanno sottoscritto accordi di vendita e pubblicazione di “proprie opere” (tanto per citarne una, il quadro è drammatico anche per gli altri social newtork e per Youtube, dove oltre a non esistere nulla di equivalente in europa e in Italia, la storia delle nazioni e dei luoghi delle nazioni è tutta memorizzata in server farm localizzate negli USA e Irlanda a uso e consumo commerciale di multinazionali americane).
Questa piccola parentesi polemica si rende necessaria per una condizione di assoluta anarchia che regna e governa i social net di Zuckerberg nel merito di alcune sue pagine in dominio italiano riservate alla storia documentale e fotografica di alcune localita’ italiane.
Ritornando all’identificazione topologica e toponomastica dell’immagine, non è facile identificare il lato dal quale la foto venne scattata poiche’ la Via Selvanesco, verso Via dei Missaglia, negli anni ’90 e ‘2000 venne lottizzata per uso residenziale e abitativo e il tracciato originario iniziale (dalla Via dei Missaglia) venne completamente stravolto, tale da essere oggi un vialetto rettilineo esteso per quasi 1 km, integrato all’interno di vie private condominiali. Dovrebbe trattarsi della Via Selvanesco piuttosto che delle pregresse Via Gratosolio-Via Baroni (anche da quel lato del Gratosolio le lottizzazioni edilizie hanno stravolto gli originali tracciati, in alcuni casi persino troncate e diventate, come per la Via Gratosolio strade senza uscita.
Purtroppo l’esercizio monopolista delle immagini storiche di Milano, adottato dalla “triade” Milano Sparita e da dimenticare Facebook”, “Milano Sparita Skyscraprescity” e “Da Milano alla Barona Facebook” non permette ricerche e confronti con altri utenti internet appassionati della storia di Milano.
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Il quartiere, in questi lunghi 18 anni vide, dopo questi fatti di cronaca politica e terroristica di portata nazionale ed oltre, una tregua ed un superamento, insieme al resto di Milano, dei cosiddetti anni di piombo e del terrorismo… ma i parallelo, la penetrazione della mafia in vari settori quali il Ronchetto e il plesso di edilizia ex IACP di Famagosta e Lope de Vega.
Pur non essendo un quartiere con epicentri malavitosi di spaccio di eroina come il Giambellino e pur non annoverando situazioni di degrado decennale come il vicino Stadera-Baia del Re, negli anni della “Milano da Bere” anche in Barona, in modo silente, la mafia siciliana (e successivamente quella calabrese), in modo subdolo, senza sparare, senza ferire, senza farsi notare, vide il trasferimento, da diverse regioni e località del Sud Italiano, di soggetti dal profilo scolastico e professionale modesto ma dotato di un potere d’acquisto che si traduceva in acquisti immobiliari, speculazioni edilizie e lottizzazioni che integrarono nel quartiere e nei Comuni limitrofi come Corsico e Buccinasco, come anche Assago, presenze che ambivano controlli territoriali di vario genere a partire dal narcotraffico.
Gli anni ’80 e ancor piu’ intensamente gli anni ’90 furono periodi di terremoto sociale e politico della classe dirigente politica e imprenditoriale milasese (PSI e successivamente l’ingresso della Lega Nord e di Forza Italia nell’amministrazione dei MIlano) che culminava nel 1993 con l’elezione di Marco Formentini come primo sindaco della città di Milano, e successivamente di Forza Italia con Gabriele Albertini.
Milano e le sue istituzioni comunali ebbero in quegli anni, un ruolo non involontario nel favorire l’infiltrazione mafiosa nel tessuto sociale e imprenditoriale cittadino, consolidando una tendenza già avviatasi sotto le giunte del PSI di Bettino Craxi, soprattutto (ma non solo) con la giunta Pillitteri.
Eroina prima, cocaina dopo, e riciclaggio immobiliare ed edilizio come anche commerciale furono le attività di business di Cosa Nostra siciliana e ‘ndrangheta. La Barona non venne di certo risparmiata da queste logiche, che nel 1998 determinarono un grave episodio di sangue.
Un misto tra contesa del controllo territoriale del narcotraffico e altri motivi banali, sembra passionali, fecero scattare la scintilla della sparatoria di Viale Faenza, riportando la Barona verso scenari da Far West che si era lasciata alle spalle quasi 20 anni prima.
Nel Maggio 1998, in Viale Faenza avvenne un nuovo grave episodio criminale con un regolamento di conti (sparatoria in pieno Viale) tra esponenti dell’alleanza SLAVO-CALABRESE contro COSA NOSTRA (narcotraffico). La mafia Slavo-Calabrese aveva come reggente il figlio del serbo Dragomir Petrovic detto Draga, un nome storico della mala meneghina, noto in passato per la strage al ristorante Le Streghe di via Moncucco (il cui figlio fu appunto coinvolto nella sparatoria di viale Faenza del 1998, quando si sfidarono le bande degli slavi del Corvetto e una famiglia legata a Cosa nostra siciliana).
Come già accennato in precedenza, la Barona, da ex quartiere popolare e piccolo borghese, tranquillo e decentrato, cosi’ come si presentava negli anni ’50 e ’60 del 1900, sino anche alla metà degli anni ’70, divenne dopo tale data, un quartiere dalla reputazione non proprio ottimale culminando a cavallo tra gli anni ’70 ed ’80 e ’90 ( inclusi anche gli anni di piombo) con stragi e omicidi terroristici di “prima categoria” ed un degrado (seppur limitato ad alcuni settori) che fece etichettare il quartiere come: “Barona = Bronx” (scritte che apparivano anche nei mezzanini delle metropolitane in Piazza Lima, Loreto e nella stessa M2 Romolo).
Ovviamente, non tutti questi eventi furono conseguenti al degrado di alcuni lotti del quartiere. Erano gli anni di piombo e dell’eroina e pochi quartieri di Milano ne vennero risparmiati e le zone Niguarda, Greco, Bicocca, Comasina, Parco Lambro , Quarto Oggiaro e Giambellino-Lorenteggio erano sotto il controllo territoriale dei narcotrafficanti di eroina.
La sparatoria di Viale Faenza era una conseguenza infelice di presenze mafiose nelle confinanti Buccinasco e Corsico ed era anche, tale quartiere, uno dei territori dove tali criminali esercitavano, insieme ad altri quartieri di Milano, il controllo dello spaccio di stupefacenti.
Certamente il degrado sociale del quartiere era anche causato da pessime pianificazioni urbanistiche errate e superficiali, alla ricerca di lotti periferici decentrati a poco prezzo, triangolati da cessioni del demanio ai privati, che rivendevano allo stesso demanio a prezzi quintuplicati (questa moda è ancora in voga e venne utilizzata dalla giunta Forza Italia-Lega Nord nei primi anni 2000 nell’area ex Varesine per cementificare), ove realizzare ecomostri urbanistici ex IACP (Lope de Vega e Tre Castelli).
Aree dormitorio di rapido dominio della “mala milanese e meridionale” e in parte anche per causa della sua vicinanza con quartieri “limite” come i confinanti Giambellino (un Far West negli anni ’70 e ’80) e il Q.re Stadera della Chiesa Rossa.
Negli anni ’80, In Barona, l’eroina arrivava dal “Ponte di Via Brunelleschi/Richard” e sotto tale ponte la si spacciava e consumava ( non mancarono episodi di cronaca nera, nell’arco di oltre un trentennio, l’ultimo nel 2009, dove uno straniero, sospetto spacciatore, venne gettato dal Cavalcavia e ritrovato morto sotto la campata sottostante) anche in quel settore del quartiere…
Del resto tale cavalcavia era anche collegamento veicolare col il vicino Giambellino, teatro di spaccio e controllo territoriale delle gang che gestivano il traffico di eroina. Anche il complesso ALER Lope de Vega, vide tra gli ’80 e ’90 la presenza di gang criminali dedite al narcotraffico e non mancarono diversi omicidi all’interno dei caseggiati. Il degrado del Cavalcavia di Via Don Milani non ebbe mai fine e tutt’oggi è luogo di cattive frequentazioni notturne.
Anche i confini più periferici con Comuni dell’Hinterland come Buccinasco e Corsico (noti per essere, tutt’oggi, delle zone dove è presente l’infiltrazione mafiosa) non apportarono di certo beneficio a questo quartiere ricco di storia, di testimonianze, di esempi storici, industriali, agricoli e culturali (purtroppo violentato dal contesto nazionale del riciclaggio finanziario degli immobiliaristi/palazzinari e da pessime periferie confinanti come il Giambellino), cosi’ come sociali. Era un quartiere ancora relativamente giovane, per il suo sviluppo urbanistico spesso popolato da lotti di edilizia popolare mal concepiti. Presto lo sviluppo del quartiere, a cavallo degli anni ’70 e ’80 divenne disarmonico e incoerente, soprattutto per alcune aree comprese tra Via Lope de Vega, Via Giussani e della Ferrera e Via Primo Mazzolari. Vie e quartieri che videro (purtroppo) relativi miglioramenti limitatamente nella parte di Via Giussani, dopo (purtroppo) la privatizzazione degli ex complessi abitativi ALER.
Nel dopoguerra, sino agli anni ’90, la Barona era comunque un quartiere periferico residenziale con realtà di piccola e media industria e anche di terziario.
Il progressivo declino economico, politico e sociale di Milano, travolse, in parte, anche il destino di questo quartiere, come del resto della città.
Immagini della Barona (sparita, in buona parte) e località limitrofe tra gli anni ’30 e ’60 del 1900
15 anni dopo le riprese del film “Susanna tutta panna”, sempre nelle vicinanze del Ponte di Via Valenza, le vie Alzaia Naviglio Grande, Via Casale, Via Paoli, Piazza Arcole, Via Segantini, Via Carlo Torre, Via Argelati e Via Magolfa divennero set cinematografico di alcune riprese di “car chase” (inseguimenti automobilistici) del film “La Mala Ordina” (1972) di Fernando di Leo.
Le stesse aree cittadine della “Vecchia Milano”, nel 1974, divennero set cinematografico anche per il Film “Il poliziotto è marcio” (sempre del regista Fernando di Leo). Nel secondo film le riprese si estesero a tutti gli effetti anche nel quartiere Barona (Alzaia Naviglio Grande, tra la Chiesa di San Cristoforo e il ponte ferroviario sino ai centri sportivi delle Canottieri Olona e Canottieri Milano).
ANNI ’90-2000 “FUGA DA MILANO E DALLE PERIFERIE
Anni ’90: Barona post tangentopoli e neo berlusconismo:
Tra gli anni ’90 e 2000, la precedente destinazione del patrimonio edilizio privato del quartiere si convertiva in uso foresteria (locazione a non residenti nella regione) con progressiva sostituzione di residenti nati a Milano, o insediati da altre province lombarde o altre regioni italiane, sostituiti con una nuova popolazione migratoria costitutita, da un lato, da extracomunitari o neo comunitari. Dall’altro lato, la popolazione storica, si trasferiva, per scelta o per costrizione (disoccupazione, degrado, qualità della vita in calo costante, costi immobiliari impossibili, Milano male amministrata dalle giunte di Centro Destra) fuori dalla città o persino dalla provincia se non dalla regione, per essere sostituita da migranti meridionali italiani “in doppio petto e valigetta porta computer e conto bancario con cifre da molti zeri” (quindi non più alla ricerca di un lavoro, ma “creatori” di lavori precari in regime di sub appalti, avvantaggiati dalle riforme del Lavoro “Berlusconi-Maroni” che tanta disoccupazione e precarietà portarono…).
Questa era la conseguenza del declino industriale, morale e imprenditoriale di Milano e anche della Lombardia.
In Barona, le vie Pestalozzi, Andrea Ponti, Portaluppi, Giacomo Watt, videro ex case di ringhiera (fatiscenti) ed ex archeologie industriali dismesse (Via Andrea Ponti, Via G. Watt, Via Pestalozzi) trasformarsi in lussiosi Loft milionari alla portata di pochi eletti, principalmente dirigenti di banche, assicurazioni, immobiliari, di qualche grande azienda rimasta ancora in piedi e operativa negli appalti regionali e ministeriali… di consulenti di società collocate a sud di Roma nate con capitalizzazioni ambigue nel giro di qualche ora e in odore di riciclaggio. Naturalmente anche altri quartieri videro analogo destino, dove la speculazione immobiliare, trasforma in oro, case ed aree industriali dismesse destinate alla demolizione.
I clienti di tali “resort” sono Manager e dirigenti delle pubbliche amministrazioni, finanziarie, assicurazioni, banche, catene di megastore, multinazionali anglosassoni, di controllate municipali e di società di consulenza che proliferano negli appalti regionali e comunali e con varie consorziate. Sempre di meno gli artisti della moda e del Fashion, stilisti, pubblicitari e “creativi”.
Inutile sottolineare che immobili dallo scarso valore e pregio, dopo gli anni ’90, assunsero plusvalenze immobiliari ai limiti dell’assurdo e con essi anche i quartieri dove erano ubicati, estendendo virtualmente le quotazioni immobiliari del centro storico alle periferie.
La cementificazione del quartiere prosegue anche in questi ultimi anni, anche in presenza di un mercato immobiliare che a Milano non riesce più a vendere per la crisi, per i costi, al metro quadro (anche nelle periferie) degni di un Emiro dell’Arabia Saudita.
Negli ultimi due anni (2015-16) , lungo la via Voltri, nuova cementificazione in edilizia convenzionata ha ulteriormente sovraccaricato un quartiere saturo di alloggi privati e popolari, in buona parte sfitti e invenduti… come se ci fosse bisogno, in una metropoli completamente svuotata nell’arco di 23 anni… di nuove abitazioni la dove i prezzi al metro quadro sono proibitivi e quasi allineati al centro storico…
Oggi le vie di questo quartiere sono animate da etnie cinesi, filippine, nord africane, est europee, affiancate da italiani di altre regioni, privilegiati domiciliati in case in affitto (uso foresteria) dai canoni che possono sfiorare anche i 5.000 € mensili (e stiamo parlando di periferia).
In realtà la Barona, come Milano è anche vuota, “piena” di appartamenti e uffici/laboratori invenduti e inaffittati con vistosi cali della popolazione, costituita da “sola” (faccendieri in giacca e cravatta) che prendono l’aereo per Palermo o Reggio Calabria, Salerno, Crotone etc.. il Venerdi’ pomeriggio e vi fanno rientro il Lunedi’ prima dell’ora di pranzo….
Per paradosso anche la comunità americana è curiosamente crescitua tra i domiciliati e residenti di Miano… quasi ci fosse una correlazione e sinergia tra le due “lobby”.
Milano è’ un malato agonizzante e con essa anche le sue periferie che costano a livello immobiliare come il centro storico. La classe media e le famiglie di operai e tecnici non esistono praticamente più e con essa la storia contemporanea del quartiere.Pochi gli anziani “storici” del quartiere, anche per effetto delle cessioni ALER di alcuni lotti del complesso Tre Castelli, la cui vendita ai privati ha costretto molti pensionati ad accettare sfratti in altri quartieri della città.
Quasi per uno strano scherzo del destino, quartieri come la Barona (il destino è comune ad altre periferie milanesi), vede una beffa invisa agli ex residenti e invece favorevole alle foresterie che saturano il quartiere, da un lato semivuoto (situazione comune a tutta Milano) perchè non si vende e non si affitta nel mercato privato ed i pochi alloggi popolari disponibili sono incetta del racket calabrese delle occupazioni abusive.
Sino agli anni ’90 (quando lo “sfratto” delle classi medie e medio basse dal quartiere venne imposto dalle prime giunte di Centro Destra leghiste) la Barona era mal servita dalle linee ATM ed i collegamenti con il centro come le restanti periferie o il resto della città erano scadenti.
Anche la rete veicolare era congestionata e mal gestita.
La Barona, come, in parte, la stessa Milano, ha visto potenziamenti infrastrutturali… solo quando la popolazione residente venne sostituita/espulsa da non residenti e/o neo residenti provenienti da altre regioni italiane o da altre nazioni…
Come dire… i residenti che contribuirono alla crescita ed alla espansione economica e sociale di Milano, sono stati, tutti, chi prima, chi dopo, espulsi dal “sistema Milano”… mentre gli ultimi arrivati, che di Milano ne sfruttano le residue ricchezze prodotte da altri…, al posto di contribuire alla ricchezza della città, possono beneficiare di servizi e infrastrutture negate ai milanesi, agli italiani, ai lavoratori… (non sempre per volontà di farlo, del resto la Milano degli anni ‘60,70,80 partiva quasi da zero e il realizzare 5 linee delle metropolitane e le linee di tram e di bus necessarie a coprire l’intero territorio non si poteva nel giro di qualche anno) dalle amministrazioni degli anni del dopoguerra sino a cavallo di Tangentopoli 1992.
E’ una beffa che si è allargata in buona parte della metropoli.
Oggi la “distanza” tra centro e periferie non è sempre vera. Negli anni ’90, in Viale Famagosta, si acquistavano bilocali a 38.000 € (le vecchie Lire di 75 milioni…).
Oggi una compravendita in Barona non scende al di sotto di 250.000 € (quasi mezzo miliardo di lire per bilocali completamente da ristrutturare, vecchi anche di 60 anni)… tanto per capirsi che il valore al metro quadro non si discosta molto dal centro cittadino.
Le mafie e le immobiliari hanno scoperto che una città come Milano puo’ essere ottimo luogo di riciclaggio di denaro del crimine organizzato, ottimo luogo di appalti truccati, ottimo luogo di speculazione immobiliare, ottimo luogo di mercati finanziari e immobiliari speculativi e usurai…
La tristezza di questo scenario è rappresentata dal fatto che il grande esodo, o … “deportazione” dei milanesi nativi e d’adozione, è stato condotto da una alleanza politica (Forza Italia e Lega Nord) che si lavava la bocca con le mai mantenute tutele storiche e regionali del territorio, false tutele dei residenti storici…. , cosi’ come delle tradizioni meneghine e lombarde e della legalità e contenimento all’immigrazione (promesse mai mantenute !).
Questa è la Barona, la Milano, la Lombardia del post Ventennio Berlusconista-Leghista (in realtà il ventennio dura tutt’oggi con il Governo Regionale Lega Nord che preme per l’ottenimento dell’immunità parlamentare dei Governatori regionali… altrimenti la Lombardia, senza le adeguate e attuali protezioni politiche del Palazzo di Giustizia… sarebbe commissariata da oltre 20 anni…) che ha fatto una tabula rasa della sua economia, delle sue imprese, industrie, della sua memoria, delle sue tradizioni, della sua popolazione, della sua gente e della sua storia.
Le giunte comunali successive al 20 enneio berluisonista (le cosiddette “opposizioni renziane”) sono solo delle estensioni degli orrori del precedente ventennio, un regime che ha stravolto non solo Milano e periferie ma anche l’intera Nazione.
(continua…. Cronologia passabile di correzioni e aggiornamenti…)